L'Italia dei corrotti, così ben rappresentata negli scandali, dal Mose all'Expo, fino a Mafia Capitale, a braccetto con mafia, 'ndrangheta e camorra, in combutta con la politica, si accaparra appalti milionari, ricicla capitali illeciti, inquina i pozzi dell'economia nazionale condizionando la vita delle imprese e il mercato del lavoro. L'Italia, per la Banca mondiale, è al terzo posto in Europa nell'indice di corruzione dopo Grecia e Bulgaria.
L'Osservatorio Transcrime, centro sulla criminalità transnazionale della Cattolica di Milano e dell'Università di Trento, evidenzia che circa il 30% delle imprese italiane percepisce un alto rischio criminalità nel suo ambiente, che sale al 40% nel Mezzogiorno. Corruzione e illegalità, dicono gli esperti, sono costi non più sopportabili.
Dalla relazione del ministro della Giustizia Cancellieri, nel gennaio 2014, risultano in amministrazione giudiziaria dal 1982 (sequestrati e/o in attesa di decisione sulla confisca definitiva) 33.546 beni tra aziende, immobili, mobili e titoli; di questi gli immobili sono 14.530 (46%) e le aziende 2.515 (7,5%).
Uno studio del centro Srm (Studi e ricerche per il Mezzogiorno), del gruppo Intesa SanPaolo, fotografa il tessuto imprenditoriale criminale sul territorio nazionale e osserva il "prima" (sequestro o confisca delle attività economiche delle mafie) e il "dopo", quando le aziende riemergono alla legalità, e affronta il tema della gestione efficiente che le renda produttive ed eviti la perdita dei posti di lavoro.
Al 2013, in Italia le aziende confiscate alla criminalità organizzata sono 1.707, mentre i beni immobili sono 11.237. Ne risultano attive 171 e operative 38. Ma i dati allarmanti sono che il 90% è in liquidazione o in procedura fallimentare e che più di 72mila lavoratori sono rimasti senza occupazione. Il valore economico dei beni, secondo dati delle forze dell'ordine (Dia) e della magistratura (Dna), oscilla tra i 10 e i 30 miliardi. Nel Fug (Fondo unico giustizia) sono immobilizzate somme per circa un miliardo e mezzo in contanti e circa due miliardi in titoli.
Le aziende sottratte al controllo delle mafie sono in 17 regioni, concentrate per la metà in Sicilia (36,47%) e Campania (20,31%); il resto si trova soprattutto in Lombardia, Calabria, Lazio e Puglia. Anche alcune province del Nord (Milano, Lecco, Brescia, Como e Bologna) mostrano un'alta presenza di imprese mafiose confiscate; e nella graduatoria nazionale la provincia di Milano viene subito dopo quelle di Palermo e Napoli e precede Reggio Calabria. Le province di Lecco (7,3 aziende confiscate ogni diecimila registrate), Milano (3,4) e Brescia (2,7) mostrano tassi anche superiori a quelle di altre aree del Sud, confermando quel che emerge dalle inchieste giudiziarie.
La mafia imprenditrice, si legge nella ricerca Srm, investe per lo più nel commercio all'ingrosso e al dettaglio (29,4%) e le costruzioni (28,8%), poi gli alberghi e i ristoranti (10,5%) e le attività immobiliari (8,9%). L'infiltrazione nel settore turistico o della grande distribuzione è di particolare importanza per il controllo del territorio.
I settori di attività economica privilegiati sembrano essere quelli a bassa tecnologia, no export oriented, piccola dimensione, alta intensità di manodopera e alto coinvolgimento di risorse pubbliche. Ambiti che non richiedono particolari abilità professionali o di innovazione tecnologica, dove il rischio d'impresa è moderato, in cui la concorrenza, soprattutto internazionale, è limitata.
Lo studio Srm traccia l'identikit dell'azienda mafiosa: spesso piccola (nel 50% dei casi ha un capitale medio tra 10 e 20 mila euro), giovane (in media dieci anni tra la costituzione e la confisca di prima istanza, ancora meno per il sequestro). E' spesso una srl, più agile da creare, da gestire, dietro cui la sua identità criminale resta meglio nascosta. Vi entrano parenti e amici con ruoli di prestanome, si fa ampio ricorso a partecipazioni societarie, nel tipico schema delle "scatole cinesi". Poco patrimonializzata, non ha bisogno di essere competitiva rispetto alle imprese legali del medesimo settore, gode di ampia liquidità e basso indebitamento bancario. Le aziende criminali esercitano pressioni sui fornitori e sui lavoratori, in genere sottopagati, utilizzano materie prime o servizi di basso costo e qualità scadente, sono colluse con apparati amministrativi corrotti, falsificano i documenti contabili e societari, evadono il fisco, scoraggiano la concorrenza.
Il business illegale viene esportato all'estero. Sul versante orientale, le mafie prediligono Romania e Albania, ma si muovono in modo omogeneo anche nel resto d'Europa. A Tenerife, nelle isole Canarie, per esempio, sono leader nelle attività turistiche. Mafia,'ndrangheta e camorra sono in Portogallo, Francia (Costa azzurra), Germania e Regno Unito, con i giochi illegali e d'azzardo, alberghi, ristorazione, commercio all'ingrosso, tessile e lavori pubblici. In Svizzera 'ndrangheta e camorra s'infiltrano nei santuari della finanza. In Gran Bretagna le tre organizzazioni criminali italiane investono nella ristorazione, nel commercio, nei lavori pubblici, nel gioco d'azzardo, nel real estate.
La mappa ingrandita
Che succede dopo il sequestro e la confisca, quando entrano in campo gli amministratori giudiziari? Come si accompagnano le imprese che si possono salvare sul percorso dell'emersione alla legalità? Vi è la valutazione della situazione economico-patrimoniale, dei rapporti con le banche, l'accesso al credito, le fideiussioni, l'analisi del mercato e dell'avviamento, i primi interventi di gestione interna e di rapporto con gli stakeholders. La fase si conclude o con la messa in liquidazione o con la ripresa dell'attività. I dati indicano che l'esito è quasi sempre negativo. Fra i motivi di crisi giocano la complessità del meccanismo di governance, il fattore tempo, la carenza di approccio economico. Dunque? Magistrati, economisti, imprenditori concordano che occorre un ripensamento dell'intero meccanismo.