Tra la fine del '91 e l'inizio del '92, l'ex ministro Calogero Mannino era "preoccupato perché gli erano arrivati segnali in base ai quali riteneva che ci potesse essere un rischio reale per la sua vita, specialmente quando lasciava Roma per rientrare a Palermo".
E' quanto ha spiegato Giuseppe Tavormina, generale dei carabinieri chiamato a deporre nell'ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia, in corso di fronte alla Corte d'Assise di Palermo.
Secondo l'accusa, sarebbe stato proprio l'ex ministro democristiano, attualmente imputato nel processo, il primo ad avanzare la proposta di scendere a patti con Cosa Nostra, temendo per la sua vita a seguito dell'omicidio di Salvo Lima. Ma vi era anche altro: Mannino, infatti, solleva le proprie preocupazione a fronte di "alcuni incendi" che, secondo la ricostruzione del generale, "venivano interpretati dal ministro come segnali". Inoltre, "pochi mesi prima vi era stata la sentenza del maxiprocesso".
"Consideravamo il maxiprocesso alla base dell'omicidio di Salvo Lima", ha aggiunto Tavormina. "Una valutazione che fu fatta in quel periodo, veniva considerato il risultato che era stato raggiunto con il maxiprocesso portato avanti da Falcone e Borsellino",
"C'era stata un'occasione in cui era arrivata la notizia di una minaccia di attentato nei confronti di Mannino, e siccome noi allora a Palermo non avevamo nessuna struttura, ne parlai con l'allora capo del Ros Subranni che invece aveva una struttura a Palermo", ha continuato. "Parlai con Subranni affinché attivasse Palermo per avvertirlo che era arrivata questa comunicazione e che ci poteva essere una minaccia nei suoi confronti". "Perché non avvertì il ministro dell'epoca?", è stata la domanda del pm Di Matteo. "Non so spiegarmi perché non mi attivai", ha spiegatoTavormina, "ma certamente ne parlai con il mio vice Gianni De Gennaro".
Per quanto concerne gli incontri, infine, il generale ha spiegato che quando Mannino "mi chiamava per parlarmi io mi mettevo in condizione di incontrarlo. Per me era un obbligo andare. Era un ministro, perché non avrei dovuto?"
"Non saprei dirle circostanze specifiche nelle quali mi abbia potuto chiamare per una certa questione se non per una cosa grave o seria", ha concluso. "Sulla Sicilia non avevo competenze specifiche".