Beni per un milione e centomila euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza sulla base di un'ordinanza emessa dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani a carico di Rosario Tommaso Leo, condannato nel 2013 per associazione mafiosa (mandamento di Alcamo).
Il sequestro ammonta a circa 1 milione 100 mila euro e riguarda diverse aziende agricle tra Trapani, Vita, Salemi, Castellammare del Golfo, Calatafimi e Alcamo, nonché rapporti bancari, postali ed assicurativi, intestati a lui o riconducibili anche ai familiari.
Coinvolto, tra le altre cose, anche nell'operazione antimafia "Crimiso" del 2012, il boss Rosario Tommaso Leo fu intercettato mentre dava un giudizio sprezzante sui politici: “i politici sono tutti una massa di cornuti".
PALERMO. Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo ha sequestrato in città due appartamenti e un magazzino del valore di circa 300.000 euro e confiscato un’azienda edile, cinque immobili tra Palermo e Carini, quote societarie, disponibilità finanziarie e un autocarro, per un valore complessivo di oltre un milione di euro
Il provvedimento di confisca riguarda invece Antonino Vernengo, un cinquantasettenne imprenditore edile palermitano, arrestato nel 2007 per intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di aver favorito la famiglia mafiosa di Palermo “Cruillas”. Anche se l’uomo è stato assolto nel 2009, nell’anno successivo è iniziato il procedimento che ha portato alla confisca. Sono passati allo Stato una società operante nel settore della demolizione di edifici, quote di una società di trasporto di merci, un autocarro, una abitazione, due magazzini, due terreni e vari depositi bancari.
Il sequestro riguarda i beni del quarantottenne Cosimo Vernengo, figlio del boss della famiglia mafiosa palermitana di Santa Maria di Gesù Antonino Vernengo, detto “u dutturi”, morto nel 2006, e nipote di Pietro Vernengo, entrambi condannati per mafia.
Cosimo Vernengo è stato condannato nel 2010 a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa e per numerosi episodi di estorsione aggravata. La sproporzione tra i redditi dichiarati dall’uomo e gli investimenti effettuati negli anni ha fatto supporre che i beni siano stati acquisiti con i profitti dell’attività illecita della famiglia mafiosa. Si tratta di due appartamenti e un magazzino.