di Leonardo Agate - E' venuto il postino a recapitarmi un plico, e poiché a casa non c'era nessuno ha lasciato un avviso, dove c'era scritto che se telefonavo entro tre giorni al numero indicato, il postino avrebbe fatto un nuovo tentativo di recapito. Ho telefonato più volte ma nessuno mi ha risposto. Sono andato anche all'Ufficio postale di Spagnola, indicato pure nell'avviso, per ritirare la raccomandata. Mi é stato detto che il plico l'avrei trovato all'Ufficio postale di smistamento di via Mazara. Potevo andarci quando volevo, anche la successiva settimana. Dopo qualche giorno sono andato all'Ufficio di via Mazara e mi hanno detto che là il pacchetto non c'era, e che l'avrei trovato dopo qualche giorno all'Ufficio di Spagnola. E vado allora, dopo qualche giorno, all'Ufficio di Spagnola, ma il pacco non era arrivato. Gli impiegati hanno guardato l'itinerario della raccomandata sul pc, ed accertano che la raccomandata si trovava all'Ufficio di via Mazara. Tornato dopo qualche giorno all'Ufficio di via Mazara, l'impiegato ha guardato nel pc e mi ha risposto che il pacchetto là non c'era, e che dovevo trovarlo alla Spagnola. Ho iniziato allora il racconto delle mie peripezie, ed un altro impiegato si é avviato verso un armadio, trovandovi quello che aspettavo.
La raccomandata era là da settimane. Mi sarei aspettato che mi chiedessero scusa. Macché!
E' questo il Paese che ci troviamo spesso davanti quando abbiamo a che fare con gli uffici pubblici, o falsamente privati quando la maggioranza azionaria é pubblica. Nonostante tutti i tentativi di riformare il rapporto tra lo Stato, il parastato e il cittadino, restiamo invischiati in una fitta trama di rapporti sbilanciati a favore della supremazia dello Stato e degli uffici pubblici o parapubblici. Restiamo vittime dell'incapacità e del menefreghismo di molti pubblici dipendenti, che sono restii ad accettare e mettere in pratica le riforme che dovrebbero rendere migliori i loro servizi. Così avviene alle Poste, ma anche nei ministeri, negli assessorati, nei comuni, nelle moribonde (ma perché non muoiono mai?) province, alle Prefetture, all'Agenzia delle Entrate, al Genio civile, alla Soprintendenza, all'Inps, all'Ausl, alle Agenzie di collocamento, ecc. ecc.
Non c'é niente da fare in questo benedetto Paese! Tutto sembra all'improvviso che debba cambiare, perché viene approvata una legge di semplificazione, e tutto rimane più o meno come prima, quando non peggio. Quando hanno approvato la legge nazionale - la 241 del 1990 - sul procedimento amministrativo, dove erano elencati termini certi per il compimento delle fasi dei vari procedimenti amministrativi, e l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di rispondere entro trenta giorni alle richieste o lamentele dei cittadini, sembrava che finalmente l'Italia e le sue procedure fossero entrate in Europa, e potessero procedere al ritmo della Germania o della Francia. Macché! Dopo pochi mesi quella legge cominciò ad essere modificata in uno e in un altro articolo, con il risultato che per definire certe pratiche occorre convocare una conferenza di servizi. E, tra assenze di chi dovrebbe parteciparvi e rinvii della convocazione, i termini iniziali per la chiusura del procedimento vengono spostati alle calende greche.
Non manderò una lettera di protesta alla Direzione delle Poste per quanto mi é capitato. L'ho fatto altre volte, per casi simili, alle Poste o ad altri enti, e per lo più non ho avuto nemmeno risposta.
La cosa più utile che si possa fare, quando si ha bisogno di qualcosa da un ente pubblico o parapubblico, é quella di rivolgersi ad un amico di dentro, che potrà risolvere l'intoppo.
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