Scarti e sottoprodotti delle principali filiere agroalimentari siciliane, sapientemente destinati a impianti per la produzione di biogas, sarebbero in grado di produrre energia verde per 10 mila abitazioni con singole utenze da 3 KWh.
Oppure sarebbero trasformati in bioplastica e bionutrienti per il terreno facendo dei distretti siciliani (aziende dei comparti cereali, agrumi, pesca, ficodindia, carni, caseario e dolce) realtà virtuose che recuperano tutto il recuperabile trasformandolo in valore per se stessi (energia per autoapprovvigionamento) e in beneficio per la comunità e il territorio. In una parola sarebbero aziende “sostenibili”.
A quantificare il capitale agroenergetico siciliano è Risorse Smart, giovane e dinamica start-up composta da quattro professioniste impegnate a connetteredomanda e offerta di scarti e sottoprodotti provenienti dal settore agricolo e agroindustriale. Di recente Risorse Smart ha mappato la situazione nei vari Distretti Produttivi siciliani, raccogliendo dati sulla produzione di siero di latte, residui vegetali, biomasse da cereali, colture in rotazione, ficodindia, sottoprodotti di agrumi e olio d’oliva (pastazzo, sansa e acqua di vegetazione), scarti della macellazione delle carni (pollame e bovina), deiezioni animali. I risultati dei questa indagine sono stati esposti oggi, a Catania, nel corso del convegno sulle Agroenergie organizzato dal Coordinamento dei Distretti Produttivi Agroalimentari e Pesca di Sicilia.
Uno studio che a Federica Argentati, presidente del Distretto Agrumi di Sicilia (ente coordinatore del progetto della Regione Siciliana dedicato alla filiera produttiva agroalimentare “I Distretti Agroalimentari in rete nell’ottica della Green e della Blue Economy”), ha fatto dire: “L’indagine di Risorse Smart conferma che abbiamo un patrimonio agroenergetico del tutto inespresso. Un vero giacimento di energie verdi che, opportunamente lavorate, farebbero di ogni filiera un modello di gestione nella direzione della Green e della Blue Economy: ovvero aziende a ridotta emissione di CO2 (green) o a zero (blue). Una innovazione di sistema che deve partire dalla dimensione micro, ovvero dalle singole filiere, per arrivare a una dimensione macro, dove a vincere ed essere additato ad esempio non è il singolo, ma il modello Sicilia: esempio positivo di economia dove i Distretti Produttivi “pensano in squadra”, condividono progettualità, fanno sistema e si rinnovano, rigenerandosi, nella direzione della sostenibilità”.
Roberta Selvaggi, agronomo e co-founder di Risorse Smart (www.risorsesmart.com), ha chiarito: “Il vero problema oggi in Sicilia è la mancanza di dialogo tra gli operatori che producono biomasse e le imprese interessate a impiegarle nei propri impianti per la produzione di energia, bioprodotti ed altro. Il divario tra nord e sud in questo settore è molto evidente: al nord oltre 1200 impianti di digestione anaerobica, in Sicilia su 6 autorizzati in Sicilia solo 3 sono operativi (Mussomeli, Comiso e Dittaino). Aziende frammentate e scarsa cooperazione sono causa di questo ritardo”.
Eppure, innovative modalità per risparmiare energia e crearne di nuova sono già state esplorate dagli stessi distretti. Lo ha confermato Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto Produttivo della Pesca: “Da anni lavoriamo nella direzione della Blue Economy attraverso progetti realizzati in sinergia fra le stesse imprese distrettuali e centri di ricerca pubblici e privati, dipartimenti universitari, laboratori e centri di competenza”.
Una sinergia strategica, come ha spiegato Biagio Pecorino, docente di Economia Agroalimentare (Di3A Università di Catania): “La ricerca mette a disposizione nuove soluzioni tecnologiche e le trasferisce ai sistemi produttivi locali anche adattandoli alle diverse realtà produttive. Per questo credo che la bioeconomia consentirà di innovare i sistemi produttivi mediterranei superando le ataviche resistenze e consentendo quel salto di qualità in particolare al sistema agroalimentare”.
Un conferma in questa direzione è giunta anche da Fabrizio Sibilla, esperto di biotecnologie industriali, secondo cui “oggi le tecnologie consentono di convertire le matrici organiche in bioplastiche di seconda generazione: non si usano più prodotti potenzialmente destinati al consumo umano o animale, quindi si evita la competizione fra food and energy”.
Mentre Sofia Mannelli, presidente Chimica Verde Bionet, ha infine ricordato il ruolo della chimica verde, ideale sostituzione dei vecchi impianti energetici con alimentazione fossile. “Anche i sistemi agroalimentari del Mediterraneo devono avvalersi di questa opportunità con impianti a chimica verde ben integrati nei territori”.Fra gli interventi Luciano Cosentino(Direttore Di3A Unict) e Giuseppe D’Amore (consigliere Enama, in merito alla normativa per accedere agli incentivi per gli impianti agroenergetici).