Salvatore Borsellino, l'ingegnere, fratello del giudice Paolo, come abbiamo raccontato tempo fa, è stato condannato per diffamazione nei confronti del Procuratore di Marsala, Alberto Di Pisa. Adesso Borsellino racconta di aver pagato il risarcimento a Di Pisa, come previsto dalla sentenza, e di aver utilizzato parte dei soldi che erano stati raccolti per costruire, a Palermo, la "Casa di Paolo", un luogo di memoria dove era la vecchia farmacia della famiglia Borsellino. La rivelazione l'ha fatta Borsellino qualche giorno fa, a Trapani, durante la presentazione del libro di Nino Di Matteo e Salvo Palazzolo "Collusi"., un luogo di memoria e di incontro per non dimenticare.
I fatti. Nel 2008 il Csm nominò procuratore capo di Marsala, ruolo che fu di Paolo Borsellino, il magistrato Alberto Di Pisa, il quale alla fine degli anni Novanta venne accusato di essere «il corvo», l’autore delle lettere anonime inviate nella primavera del 1989 al Capo dello Stato e al Csm, nelle quali si accusavano i magistrati Giovanni Falcone, Giuseppe Ayala, Pietro Giammanco, il capo della polizia Vincenzo Parisi e il dirigente della Criminalpol, Gianni De Gennaro, d’avere fatto rientrare illegalmente in Italia il mafioso Salvatore Contorno per usarlo come «sicario di Stato» nella caccia a Totò Riina e ai corleonesi. Da questa accusa Di Pisa venne completamente scagionato. Nonostante ciò, nel 2009, Salvatore Borsellino, nel corso di un convegno a Marsala affermò: «Di Pisa non può prendere il posto di mio fratello perché è stato accusato di essere il corvo che mandava lettere anonime contro Falcone, e solo il fatto che non hanno utilizzato in appello la prova delle sue impronte digitali ha permesso la sua assoluzione». E ancora: «Oggi questa procura è retta da una persona che secondo me non è degna (…). È un’ignominia». Sentitosi diffamato, Di Pisa sporse querela, spiegando come stavano i fatti: «La mia assoluzione è stata nel merito, perché non solo è stato riconosciuto che l’impronta digitale mi fu estorta in maniera fraudolenta, ma la Corte dice chiaramente che il corvo non sono stato io (…). Lo ripeto, non c’entro nulla, perché a quelle indagini non avevo neanche accesso». Non a caso, come scrissero i giudici, delle otto impronte trovate sulle lettere del corvo, «non una può essere attribuita a Di Pisa». E quando nell’ottobre del 2014 arrivò la condanna per Borsellino, seimila euro a titolo di risarcimento danni, il giudice scrisse che «la ricostruzione del processo cui è stato sottoposto Di Pisa sembra volta a suggerire che l’assoluzione in appello sia stata esclusivamente la conseguenza della mancata utilizzabilità dell’impronta digitale (…), così tuttavia non è. Invero, ribaltando le conclusioni cui era giunto il giudice di primo grado, la Corte d’appello di Caltanissetta non solo ha ampiamente confutato la tesi dell’utilizzabilità della prova, ma ne ha anche minato l’attendibilità intrinseca». E aggiunse: «Non risponde al vero quanto affermato dal Borsellino e cioè che Di Pisa non si sarebbe mai sottoposto volontariamente al rilevamento delle proprie impronte digitali, avendo invece la Corte d’appello dato atto del contrario».
Pochi giorni fa, a Trapani, ecco la rivelazione di Borsellino. Il fratello del magistrato ucciso ha infatti spiegato che parte dei soldi raccolti per trasformare quella che fu la farmacia del loro papà in un luogo del ricordo e per acquistare, allo stesso fine, anche un locale adiacente, li ha utilizzati per pagare il dovuto a Di Pisa. Queste le sue parole: «Io sono un ingegnere, ma non uno di quelli che usa righelli, matite, goniometri, sono un ingegnere informatico e allora cercherò di insegnare ai giovani che verranno l’uso del computer, dell’informatica, cercherò di dare loro una mano per entrare nel mondo del lavoro utilizzando al meglio i computer. Sono stati raccolti tanti fondi, mi dispiace che una parte di questi li ho dovuti stornare per pagare una multa per avere protestato che a Marsala l’eredità del lavoro di mio fratello sia stata presa da chi è stato toccato dal sospetto di essere stato l’autore degli anonimi in una delle stagioni più buie della storia giudiziaria palermitana, per aver detto questo ho dovuto pagare.Nei mesi a venire vi chiederò ancora una mano d’aiuto per far crescere il sogno diventato realtà della Casa di Paolo».