18,00 - Condanna a tre anni di carcere e a 5 di interdizione dai pubblici uffici per il reato di falso ideologico in concorso e rinvio degli atti in Procura, per l’eventuale avvio di un altro procedimento penale, relativamente all’accusa di abuso d’ufficio. E’ stata questa la sentenza del Tribunale di Marsala (presidente del collegio: Sergio Gulotta) nel processo a due poliziotti che fino allo scorso febbraio erano in servizio al Commissariato di Mazara: il sovrintendente Vito Pecoraro, di 53 anni, e l’assistente Vincenzo Dominici, di 46. I due imputati erano inizialmente accusati anche di omissione d’atti d’ufficio, reato che durante la requisitoria il pm Antonella Trainito, invocando una condanna complessiva a 4 anni e mezzo di carcere, aveva tramutato nel più grave abuso d’ufficio. Il Tribunale ha, poi, evidenziato, con ordinanza allegata al dispositivo della sentenza, che le mancate contravvenzioni stradali non costituiscono reato di omissione d’atti d’ufficio. Domani su Tp24.it i particolari.
14,00 - La mancata citazione a una “parte lesa” (presunta vittima di estorsione) ha fatto slittare al 9 settembre l’avvio, davanti il Tribunale di Marsala, del processo a tre persone coinvolte nell’operazione antimafia “Eden 2”, che lo scorso 19 novembre ha fatto un ulteriore giro di vite intorno al clan del boss latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Alla sbarra sono i castelvetranesi Vito Tummarello, di 54 anni, e Luciano Pasini, di 27, nonché il marsalese Andrea Pulizzi, di 50. Tummarello e Pasini devono rispondere di una rapina messa a segno nel novembre 2013 ai danni di una agenzia della “Tnt” a Campobello di Mazara. Secondo l’accusa, la rapina avrebbe avuto come basista il Pasini, dipendente dell’azienda. "Regista", invece, sarebbe stato il nipote del boss Messina Denaro, il 37enne palermitano Girolamo “Luca” Bellomo, che davanti al Gup di Palermo ha chiesto il processo con rito abbreviato. Domani su Tp24.it i particolari.
07,00 - Giornata ricca di udienze importanti oggi nelle aule di Tribunale, vediamo di fare il punto.
SQUILLO. Finalmente rintracciata (era a Roma) la 42enne colombiana Espitia Nydia Yolanda Moya, può essere avviato, oggi, in Tribunale, il processo a due delle quattro persone coinvolte nell’operazione antiprostituzione “Squillo”, portata a termine dai carabinieri di Marsala il 20 novembre 2013. Alla sbarra anche il marsalese Salvatore Brugnone, di 70 anni. A difendere la Moya, alla quale, solo di recente, è stato possibile notificare il decreto di rinvio a giudizio del gup Francesco Parrinello, è l’avvocato Leo Genna, mentre legale di Brugnone è Salvatore Fratelli. Oltre a Moya e Brugnone, nell’operazione “Squillo” rimasero coinvolti, sempre per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, Leonardo Petterico, di 35 anni, e la colombiana Sandra Tatiana Ordinez Giraldo, di 44. Petterico ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato, mentre la Ordinez Giraldo ha scelto di patteggiare la pena ed è stata condannata a dieci mesi di carcere e a una multa di 1800 euro (con pena sospesa, come prevede il rito del patteggiamento). L’indagine è stata condotta dai carabinieri della stazione di Petrosino in collaborazione con i militari dell’Arma di Mazara e Genova. Dall’inchiesta, avviata nel 2009, è venuto fuori che le prostitute, in buona parte sudamericane, attiravano i clienti con inserzioni pubblicitarie su giornali a tiratura regionale, fornendo il proprio recapito telefonico e il luogo dove incontrarsi. Inizialmente, in una villetta di contrada Fossarunza. Poi, in seguito ad un controllo dei carabinieri, in altri immobili in zone di periferia poco frequentate. La tariffa per una prestazione sessuale era di 70 euro. L’attività di indagine è stata condotta con intercettazioni telefoniche e ambientali e con servizi di osservazione.
POLIZIOTTI A MAZARA. Concluse le arringhe difensive (avvocati Giuseppe De Luca e Paolo Paladino), si avvia verso la conclusione il processo che, davanti il Tribunale di Marsala, vede imputati due poliziotti che fino allo scorso febbraio erano in servizio al Commissariato di Mazara, il sovrintendente Vito Pecoraro, di 52 anni, e l’assistente Vincenzo Dominici, di 45. Entrambi sono accusati di omissione d’atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico in concorso. Per loro, lo scorso 22 maggio, il pm Antonella Trainito, al termine della sua requisitoria, ha invocato la condanna a quattro anni e mezzo di carcere. La sentenza dovrebbe essere emessa nel pomeriggio di oggi. Intanto, proprio nel corso della requisitoria, il pm ha tramutato il primo dei due reati contestati (omissione di atti d’ufficio) nel più grave “abuso d’ufficio”. Ai due poliziotti si contesta il fatto di non avere adottato alcuna sanzione (né sequestro, né multe) dopo avere fermato, ad un posto di blocco, un’auto (Fiat Panda) priva di copertura assicurativa, non revisionata e su cui gravava anche un fermo amministrativo da parte dell’Agenzia delle Entrate. Alla guida c’era il mazarese Vittorio Misuraca, in quel periodo sottoposto a indagini da parte dei carabinieri (il Misuraca ha, poi, patteggiato una condanna per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione), che sul mezzo avevano piazzato una microspia. Questa, oltre a monitorare i movimenti di Misuraca, registrò anche l’iniziale contestazione di “omissione d’atti d’ufficio” sulla quale, successivamente, ha indagato la sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala, coordinata da Alberto Di Pisa, sul cui tavolo arrivò la relazione dei carabinieri. L’episodio contestato risale al 19 aprile 2012. Nel corso del processo, poi, un collega dei due poliziotti alla sbarra, il sovrintendente Antonio Sorrentino, ha dichiarato che c’era una relazione di servizio, datata 19 aprile 2012, in cui Pecoraro spiegava che al posto di blocco non furono adottati provvedimenti perché sapeva che sull’auto c’era la microspia dei carabinieri. Per la Procura, però, quella relazione di servizio sarebbe falsa, in quanto (come risulterebbe da accertamenti svolti da un chimico e da un ingegnere informatico) sarebbe stata redatta nel 2014. Due anni dopo i fatti per cui è processo. Al fine, dunque, di scagionare i due imputati. Per questo motivo, lo scorso febbraio, per Pecoraro, Dominici e Sorrentino, il gip di Marsala Francesco Parrinello ha disposto, su richiesta della Procura, la misura cautelare del divieto di dimora a Mazara del Vallo e recentemente la Procura ne ha chiesto il rinvio a giudizio per falso in concorso Anche questa seconda indagine è stata svolta dalla sezione delle Fiamme Gialle della Procura.
CARADONNA. Già condannato, anche in appello, per tentata violenza sessuale su un uomo, e per questo sospeso a divinis, per don Vito Caradonna, ex parroco della chiesa di contrada San Leonardo e cappellano del carcere di Marsala, i guai giudiziari non sembrano essere finiti. Davanti al giudice monocratico Torre, infatti, è attualmente sotto processo anche per molestie telefoniche. Reato per il quale il pm Calò, adesso, ha invocato una condanna a tre mesi di reclusione. Il procedimento è scaturito dalla denuncia (contro ignoti) del 41enne Antonino La Rosa, al cui telefono cellulare, nell’estate 2011, per alcuni giorni, arrivarono minacciosi sms anonimi (“Ti uccido. Non hai capito niente sei tu quello che devo distruggere. Saluta per sempre le persone che ami perché non le rivedrai mai più”). In aula, La Rosa ha dichiarato di non aver mai avuto sospetti sull’autore dei messaggi. “L’unico contatto diretto con don Vito – ha aggiunto - l’ho avuto quando lavoravo per un’agenzia di recupero crediti. Gli portai una cartella, ma poi il pagamento non andò a buon fine”. Tra i due, pare, comunque non vi fossero particolari motivi di astio. A difendere Caradonna sono gli avvocati Stefano Pellegrino e Luigi Pipitone, che affermano: “La parte offesa ha escluso che le minacce telefoniche anonime ricevute possano essere riconducibili a Vito Caradonna per il timbro di voce completamente diverso e per l’accento palermitani. Inoltre non è accertato che la scheda telefonica sia stata in uso a don Vito’’. Se il rappresentante dell’accusa, però, ha formulato richiesta di condanna, evidentemente qualche elemento a carico di Caradonna l’avrà. La Rosa, costituitosi parte civile, è assistito dall’avvocato Edoardo Alagna. “Il mio assistito – ha già spiegato l’avvocato Alagna – ha ricevuto questo genere di messaggi per circa quattro giorni. Poi ha sporto denuncia”. Oggi nuova udienza.
EDEN 2. Comincia oggi a Marsala il processo per tre indagati coinvolti nell'operazione antimafia Eden 2 il Dicembre scorsom, che ha fatto un ulteriore giro di vite intorno al clan di Matteo Messina Denaro, boss latitante di Castelvetrano. Si tratta di Luciano Pasini, castelvetranese di 27 anni, Andrea Pulizzi, marsalese di 50 anni, e di Vito Tummarello, 54 anni, di Castelvetrano. I tre saranno processati per un “colpo” messo a segno nel novembre 2013 ai danni di una agenzia della Tnt a Campobello di Mazara. Dovranno comparire dinanzi al Tribunale di Marsala all’udienza già fissata oggi. Secondo l’accusa la rapina avrebbe avuto come basista Luciano Pasini, dipendente dell’azienda. "Regista" sarebbe stato il nipote del boss Messina Denaro, Luca Bellomo. Tummarello deve anche rispondere di una estorsione ai danni del titolare di una pizzeria di Castelvetrano.