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14/07/2015 07:00:00

Marsala. Tentata truffa, slitta la sentenza per ex carabiniere

Prima di emettere la sentenza, il giudice Riccardo Alcamo vuole ascoltare altri testimoni (quattro impiegati di banca) e acquisire ulteriore documentazione in mano all’accusa. E’ slittata per questo motivo la sentenza attesa nel processo al 52enne ex carabiniere Nicolino Genna, accusato di circonvenzione di incapace, tentata truffa e furto, per il quale il pm ha invocato la condanna a due anni e mezzo di carcere. Gli impiegati di banca (due del Credem, gli altri dell’Unicredit) dovrebbero essere ascoltati nell’udienza del 27 luglio. I fatti: Secondo l’accusa, l’ex carabiniere, in servizio fino al 2011 (prima al Norm di Roma e poi al Senato), avrebbe commesso i reati contestati in danno di una sua anziana zia ultraottantenne (Nicolina Barraco) che secondo gli inquirenti sarebbe stata affetta da demenza senile secondaria. L’indagine, condotta dalla sezione di pg delle Fiamme Gialle presso la Procura e coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito, fu avviata a seguito della denuncia presentata dall’anziana parente di Genna, poi costituitasi parte civile. Nel corso dell’inchiesta furono ascoltate diverse persone, tra le quali impiegati di banca e delle poste, ed è emerso che grazie una serie di operazioni bancarie l’ex carabiniere avrebbe sottratto all’anziana parente circa 100 mila euro. Il turbillon di operazioni finanziarie ha riguardato il Credem, l’Unicredit, Banca Intesa San Paolo e la Ing Direct. Grazie alla familiarità con la sua vittima, Genna era riuscito a farsi intestare beni patrimoniali per un valore di quasi 89 mila euro. Accompagnandola, poi, alla filiale Credem di Strasatti, le faceva chiedere l’emissione di un assegno circolare di 15 mila euro, che poi versava sul suo conto. Stessa cosa, inoltre, la induceva a fare nuovamente al Credem (2600 euro) e con due bonifici (di 32 mila e 39 mila euro) presso le agenzie di piazza Piemonte e Lombardo e via Salemi dell’Intesa San Paolo. Il Genna avrebbe, inoltre, tentato di truffare anche il figlio (G.A.) della sua presunta vittima, convincendolo a sottoscrivere documentazione bancaria finalizzata ad operare sui suoi conti correnti. Un pericolo scongiurato in extremis dall’intervento della sezione di pg della Guardia di finanza della Procura, che ha bloccato le “manovre” dell’ex carabiniere. Quest’ultimo, tra l’altro, avrebbe avuto gioco facile sull’anziana donna proprio per la fiducia che questa riponeva nell’unico nipote, che fino a poco tempo prima indossava la divisa di una delle forze dell’ordine. A difendere Nicolino Genna è l’avvocato Stefano Pellegrino, che nella sua arringa difensiva, pur non potendo negare il danno economico subito dall’anziana, ha evidenziato che questa, all’epoca dei fatti contestati (novembre/dicembre 2012) non sarebbe stata incapace di intendere e di volere. Sapeva, insomma, quel che faceva. “Ciò – sostiene il legale – risulta da certificati rilasciati all’epoca, per una pratica Inps, dal centro di salute mentale”. Pare, che le condizioni dell’anziana si siano aggravate successivamente. Per questo, l’avvocato Pellegrino ha chiesto l’assoluzione di Nicolino Genna “perché il fatto non sussiste” o in subordine “perché non costituisce reato”. A rappresentare la parte civile sono gli avvocati Diego e Massimiliano Tranchida.



DON VITO CARADONNA. Citato due volte, ma ancora assente in aula, il giudice monocratico Matteo Giacalone ha disposto l’accompagnamento coatto per padre Enzo Amato, ex missionario in Ecuador e attualmente parroco a Paolini, chiamato a testimoniare nel processo che vede don Vito Caradonna (prete sospeso a divinis dopo la condanna per tentata violenza sessuale su un uomo) per circonvenzione di incapace. Accusa sulla base della quale, tre anni fa, il gip aveva disposto per don Vito il divieto di dimora nel Comune di Marsala. Dall’indagine, condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza presso la Procura è emerso che don Vito Caradonna, nel 2010, quando era parroco a San Leonardo, riuscì a farsi consegnare quasi 70 mila euro da un parrocchiano, M.D.G., ex militare della Marina, noto nella zona per i suoi problemi di natura psichica. Problemi di salute per i quali, nel 1991, dopo 9 anni di servizio, fu congedato. Ma gli fu riconosciuta la “causa di servizio”. E per questo percepisce una pensione di circa 1200 euro al mese. Solo a fine ottobre 2011, grazie all’intervento di un legale, M.D.G. è riuscito a rientrare in possesso del denaro prestato al prete. In pratica, tutti i suoi risparmi. Per don Vito la Procura aveva chiesto gli arresti domiciliari. Il denaro, secondo l’accusa, era stato spillato più soluzioni “abusando – secondo l’accusa – dello stato di infermità o deficienza psichica” del parrocchiano. Per oltre un anno, poi, la vittima sarebbe stata presa in giro. Gli venivano, infatti, consegnati assegni a vuoto e falsi documenti postali che attestavano bonifici. Dall’indagine, coordinata dal procuratore Di Pisa e dal pm Scalabrini, è emerso che il giovane parroco (difeso dagli avvocati Stefano Pellegrino e Luigi Pipitone) aveva sempre bisogno di denaro perché dedito al vizio del gioco (“<Gratta e vinci”, con cui ha anche vinto 50 mila euro, ed altro) e per questo, spesso, chiedeva prestiti anche ad altri parrocchiani. Da un accertamento alla Camera di commercio, inoltre, è emerso che sono ben 17 gli assegni a vuoto protestati al sacerdote (indebitatosi per il vizio del gioco), per un ammontare complessivo di 170.454 euro. E anche la Banca d’Italia ha confermato l’esistenza di “anomalie” nel tourbillon dei crediti - mutui, affidamenti, etc. - accordati al prete. Un continuo bisogno di denaro che ormai l’aveva condotto dentro un vortice che poco aveva a che fare con la sua funzione di “ministro del culto cattolico”. Anzi, questa veste gli era utile per chiedere denaro a chiunque riteneva nelle condizioni di potere aderire alle sue richieste. Non soltanto, quindi, all’ex militare della Marina in pensione con problemi mentali, ma anche ad altri parrocchiani. Come è emerso dalle indagini delle Fiamme Gialle. Tra le persone dalle quali il giovane parroco, ex cappellano del carcere, ha ottenuto denaro (10 mila euro) anche l’avvocato Antonino Sammartano, il legale grazie alla cui intermediazione, la vittima riuscì, dopo parecchio tempo, a rientrare finalmente in possesso del denaro prestato a don Vito. L’ex assessore comunale all’urbanistica, tra i parrocchiani più attivi della borgata, ha anche fornito un importante contributo all’indagine. Il vescovo Domenico Mogavero aveva anche revocato la competenza a gestire i beni patrimoniali della parrocchia di San Leonardo perché don Vito si sarebbe impossessato di oggetti votivi della chiesa per impegnarli. Nell’ultima udienza del processo, ha testimoniato lo psichiatra Salvatore Cacicia, consulente della Procura, che ha ribadito che M.D.G. “non era in grado di autodeterminarsi” in quanto affetto da “schizofrenia paranoide con manie di grandezza”. Anche se la banca gli consentiva di fare operazioni perché, ha spiegato il medico su domanda dell’avvocato Pellegrino, gli istituti di credito “non chiedono certificati medici per le operazioni di deposito di denaro”. Il prossimo 21 settembre, invece, accompagnato dai carabinieri, dovrebbe essere ascoltato padre Enzo Amato.