Eccezioni e richieste difensive hanno caratterizzato la prima udienza preliminare tenuta davanti al gup Riccardo Alcamo per decidere sulle richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla Procura per i sette uomini delle forze dell’ordine (cinque poliziotti e due carabinieri) coinvolti negli sviluppi investigativi del caso relativo a due poliziotti mazaresi (Vito Pecoraro e Vincenzo Dominici) recentemente condannati dal Tribunale di Marsala a tre anni di reclusione e 5 di interdizione dai pubblici uffici per falso ideologico in concorso. Con rinvio degli atti in Procura, per l’eventuale avvio di un altro procedimento, per quel che riguarda l’accusa di abuso d’ufficio. Una vicenda che ha visto il successivo coinvolgimento di un loro collega, Antonio Sorrentino, indagato in concorso per aver contribuito a redigere una relazione di servizio, secondo l’accusa falsa, al fine di scagionare i primi due. E nell’ambito di questa inchiesta - condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura e coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa e del sostituto Antonella Trainito - le intercettazioni disposte dalla Procura hanno messo nei guai anche altri uomini delle forze dell’ordine. Le accuse a vario titolo contestate sono falso materiale e ideologico in atto pubblico, falsa testimonianza, calunnia, favoreggiamento, rivelazione di segreto d’ufficio, truffa e abuso d’ufficio. Il rinvio a giudizio è stato chiesto per Nicolò D’Angelo, di 50 anni, vicequestore e dirigente della Polstrada di Trapani, per C. N., di 31, commissario capo, ex dirigente del commissariato di polizia Mazara, poi trasferito alla Questura di Palermo, per i sovrintendenti di polizia Antonio Sorrentino, di 53, e Vito Pecoraro, di 54, l’assistente Vincenzo Dominici, di 46, tutti fino a poco tempo fa in servizio al Commissariato di Mazara (dopo la misura cautelare del divieto di dimora a Mazara, sono stati trasferiti in Calabria), e per i carabinieri Andrea Volpe, di 45 anni, e Salvatore Buscemi, di 36, anche loro in servizio a Mazara. Dalle intercettazioni è emerso, in particolare, che il commissario N., nel 2014, chiese aiuto al vice questore D’Angelo per fare annullare una multa per eccesso di velocità che gli era stata elevata dai vigili urbani di Palermo, dichiarando che stava tornando di corsa a Mazara per ragioni di servizio. Per l’accusa, però, N. era libero dal servizio e quindi avrebbe dichiarato il falso per evitare di pagare la multa. I due carabinieri, già rinviati a giudizio (il processo inizierà il 16 settembre), devono rispondere di abuso d’ufficio e falso ideologico per non aver fatto la multa e sequestrato lo scooter al figlio del sovrintendente Sorrentino che guidava senza casco protettivo. Un vero terremoto la cui prima scossa è datata 19 aprile 2012, Pecoraro e Dominici non adottarono alcuna sanzione (né sequestro, né multe) dopo avere fermato, ad un posto di blocco, un’auto (Fiat Panda) priva di copertura assicurativa, non revisionata e su cui gravava anche un fermo amministrativo dell’Agenzia delle Entrate. Sul mezzo, però, condotto dal mazarese Vittorio Misuraca, i carabinieri avevano piazzato una microspia. Misuraca, infatti, era indagato per sfruttamento della prostituzione (poi patteggiò). E il giorno in cui fu fermato dai poliziotti era, per altro, in compagnia di una prostituta sudamericana, che, pare, avrebbe fatto le “moine”. I carabinieri, dopo avere ascoltato quanto era accaduto (mancato sequestro e mancata multa), segnalarono il fatto alla Procura, che affidò l’indagine alla sezione di pg della Guardia di finanza. Nella relazione di servizio che il 30 giugno 2014, a sorpresa, è stata tirata fuori, in Tribunale, dal sovrintendente Antonio Sorrentino, Pecoraro scrive che non furono presi provvedimenti perché sapeva che sull’auto c’era la microspia. Per non pregiudicare, insomma, l’indagine dei carabinieri. In precedenza, però, inspiegabilmente, i due imputati mai avevano parlato di questa relazione che li avrebbe scagionato. Grande, in aula, fu perciò lo stupore del pm Antonella Trainito. Il procuratore Alberto Di Pisa dispose, quindi, immediate indagini per accertare quando, in realtà, quella relazione era stata redatta. Un’indagine condotta ancora dalla sezione di pg della Guardia di finanza, con l’ausilio di un esperto informatico, che nei computer del commissariato mazarese, subito sottoposto a perquisizione, non ha trovato il file che secondo Sorrentino (che ha siglato il foglio) sarebbe stato creato nel 2012, e con analisi chimiche dalle quali è emerso che il foglio con la relazione risalirebbe al 2014! E non, come scritto, al 19 aprile 2012. Nel procedimento approdato al gup Alcamo figurava anche Raffaele Chiarello, di 60 anni, dirigente dell’area III della prefettura di Palermo Chiarello, per il quale, in un primo momento, dopo l’interrogatorio condotto dal procuratore Di Pisa, era stato ipotizzato il reato di false informazioni al pm sul ricorso presentato da N. La posizione di Chiarello, però, è stata stralciata. Non figura, infatti, fra gli indagati per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio. Adesso, davanti al gup Riccardo Alcamo, l’avvocato Antonino Sugamele ha sollevato eccezione di incompetenza territoriale per N. e D’Angelo, mentre i legali di Pecoraro, Dominici e Sorrentino (Paladino, Caracci, De Luca e Bonanno) hanno chiesto la revoca della misura cautelare del divieto di dimora a Mazara. A questa richiesta si è opposto il pm Antonella Trainito. Su eccezione e richieste difensive il giudice dovrebbe pronunciarsi nell’udienza del 30 luglio.