L'annosa vicenda dei due fucilieri italiani, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, é arrivata finalmente davanti ad un tribunale, che dovrebbe essere più obbiettivo di quello che possa essere un tribunale indiano, di fronte a cui inutilmente l'Italia ha perorato la soluzione del problema per tre anni e passa.
La vicenda dei due marò é nota, e non é necessario che qui venga ripetuta. Bastano questi pochi accenni, per rinfrescare la memoria: i due soldati erano in servizio sulla nave petroliera battente bandiera italiana, Enrica Lexie, nell'Oceano Indiano, per evitare, come tante volte é avvenuto, che l'imbarcazione potesse essere assaltata dai pirati. La nave si trovava, al momento dell'uccisione di due pescatori indiani da parte dei nostri fucilieri, che li hanno scambiato per pirati in avvicinamento su altra imbarcazione, a circa venti miglia dalla costa indiana. La sovranità delle nazioni, secondo il diritto nautico internazionale, é completa nella fascia profonda 12 miglia dalla costa, per le altre 12 miglia verso il largo é limitata alla necessità di interventi a salvaguardia della fascia di mare interna. Avvenuto il fatto, le autorità indiane intimarono al comandante della nave di approdare nel porto indiano di Khochi. Il comandante obbedì, e fu il primo errore della serie, che continua da oltre tre anni. Il comandante avrebbe potuto percorrere poche miglia e raggiungere il largo. In tal caso l'intervento indiano sarebbe stato illegale.
Non é che si dice che l'uccisione per errore dei due pescatori indiani sia cosa di poco conto, ma chiunque, accusato di un reato, ha diritto ad un giusto processo, e da quello che si visto in India non c'é stato. I nostri due concittadini si trovano, uno, Massimiliano Latorre, per motivi di salute in Italia, l'altro, Salvatore Girone, in India a disposizione di quelle autorità.
Finalmente la vicenda sembra prendere una piega migliore, avendo l'Italia - ripeto: finalmente - attivato la procedura internazionale che prevede il giudizio presso il Tribunale del mare di Anversa, i cui giudici appartengono a diverse nazioni, oltre che all'Italia ed all'India. Questo tribunale potrebbe in tempo brevi, come brevi possono essere i tempi della giustizia, ingiungere all'India la liberazione del marò trattenuto e la permanenza in Italia dei due, in attesa che l'arbitrato internazione, già attivato, decida sull'intera vicenda.
La gestione della vicenda é stata fatta dalle nostre autorità come peggio non si poteva. A parte il primo errore del comandante della petroliera, che non é imputabile alle cariche istituzionali italiane, le successive mosse italiane hanno rasentato il ridicolo e la farsa, nel migliore stile del Paese di Pulcinella. Non é opzionale il riferimento a Pulcinella, dato che la maggior parte pensa che la spinta definitiva a far rientrare i due marò in India, alla scadenza del permesso elettorale, nel 2013, sia stato l'inquilino del Colle più alto, Giorgio Napolitano, appunto di Napoli.
L'11 marzo 2013 il ministro Giulio Terzi di Sant'Agata dichiarò che non avrebbe riconsegnato i marò agli indiani. Lo dichiarò a nome del governo. Sicuramente ne avevano parlato a Palazzo Chigi. Ma pochi giorni dopo, il presidente del consiglio, Mario Monti, disdicendo il suo ministro, decise per la riconsegna dei militari alle autorità indiane. Il ministro Terzi si dimise, dissentendo. Non sapremo mai come realmente siano andate le cose, poiché le decisioni furono prese senza che ci siano verbalizzazioni delle colloqui precedenti. E' probabile che influirono le relazioni economiche fra l'Italia e l'India, di notevole spessore. E' possibile, pure, che ad un'attenta analisi il governo fu condizionato dalle ripercussioni che avrebbero potuto subire alcune nostre imprese internazionali.
E' sicuro, per quanto valga la logica, che il dietrofront di Monti, dopo la pubblica dichiarazione del suo ministro, sia stata concordata con il presidente della Repubblica. Ma la nostra nazione ha fatto finora una brutta figura internazionale, con due suoi soldati presi e mantenuti illegalmente in ostaggio, in attesa di processo, dalle autorità indiane.
leonardoagate1@gmail.com