di Dino Agate - Certo che monsignor Nunzio Galantino, vescovo segretario generale della Cei, se l’è cercata, con le sue parole forti sull’immigrazione, i profughi e i clandestini. Dal suo pulpito, una delle voci pubbliche più ascoltate, ha dato da piazzisti da bar ai politici che chiedono un maggiore controllo delle nostre coste, e da incompetenti o inefficienti a quelli che stanno al governo. Da vescovo di Santa Romana Chiesa è libero di interpretare il Vangelo a modo suo, e noi, da cittadini del nostro Stato laico, liberi di dissentire.
Innanzi tutto non ci convince il tono usato, per affermare un sentimento di amore. Anche nel modo di esprimersi si può usare la diplomazia dei sentimenti, e sarebbe forse più opportuno per non generare reazioni, che potrebbero essere ugualmente drastiche, e poco amorevoli e dialoganti. Come una volta disse questo papa, tornando in aereo dall’Estremo Oriente, dopo che era stata commessa a Parigi la strage alla redazione di Charlie Hebdo, se uno offende mia madre, gli potrei dare un pugno. Ecco, il senso è questo, a azione in vario modo violenta, corrisponde un’azione opposta e sostanzialmente fuori le righe.
Il problema dell’accoglienza dei migranti, che annualmente diventano centomila ed oltre, con previsioni di andare ai milioni, non è solo un problema di applicazione del Vangelo, e della bontà che dovrebbe caratterizzare ogni comportamento dei buoni cattolici. C’è anche un problema pratico, che attiene ai soldi necessari al sistema di accoglienza, ed alle possibilità di accogliere, in una situazione che tanto c’è da fare per togliere dalla miseria milioni di italiani. C’è anche il collegato problema della disoccupazione, che non consente di accogliere altre persone, facendo aumentare il numero dei disoccupati.
Monsignor Galantino predichi quel che vuole, ma lo Stato ha il diritto di essere realista. Lo Stato non confessionale, come per fortuna è il nostro, ha l’obbligo di pensare a far stare bene tutti gli italiani, ed adesso non ci riesce, non trascurando di intervenire in favore dei diseredati di altre parti del mondo, quando può. Non si può pretendere che lo Stato miri in primo luogo ad alleviare le sofferenze di cittadini di altri Stati con pregiudizio dei propri. La Chiesa Cattolica Apostolica Romana potrebbe mettere a disposizione delle masse di migranti i suoi luoghi, i suoi conventi, gli edifici annessi alle chiese e le stesse chiese, creandovi quei centri di accoglienza che lo Sato italiano non riesce più a tenere in piedi.
Ci vorrebbero in primo luogo i soldi, che mancano, per affrontare l’immigrazione a porte aperte, come vorrebbero i vescovi alla Galatino. Ci vorrebbe un nuovo miracolo, simile a quello che, sulle rive del lago, Gesù compì moltiplicando i pesci. Monsignor Galantino e le altre voci amorevoli delle sagrestie sanno operare simili miracoli? Passino dalle parole ai fatti, se lo sanno fare. Facciano vendere alle istituzioni ecclesiastiche i tesori di gioielli e ori, e facciano utilizzare il ricavato per accogliere i poveri. Non predichino bene, delegando lo Stato a provvedere. Non facciano solo i conti a mezza strada tra la Terra ed il Paradiso. Stiano più con la tonaca per terra, e non creino nuova confusione spirituale, nella società che già è confusa di suo, ed incapace di guardare con serenità il futuro immediato.
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