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07/09/2015 15:51:00

Il problema dei migranti non si risolve a parole

 di Dino Agate -   Sta montando il nuovo tentativo di cambiare il nome delle persone che, a centinaia di migliaia, stanno attraversando le frontiere per sfuggire a guerre o persecuzioni, o semplicemente per stare meglio. Stavolta l'dea viene direttamente dal ministro dell'Ambiente, Gian Luca Galletti: «Non chiamiamoli più migranti». È questo l’appello lanciato dal ministro dal palco di Expo, in occasione della Giornata per la custodia del Creato, organizzata dalla Cei. «Le immagini di questi giorni scuotono le nostre coscienze e l’indifferenza è il grande problema che dobbiamo affrontare. Il termine “migrante” ci distacca da quelle persone». 
Qualche giorno prima l'editorialista dell'emittente Al Jazeera, nella edizione inglese, ha rilevato che i termini “migrante, migranti” sono diventati inappropriati ed offensivi per i soggetti che si vogliono indicare. Non terrebbero conto delle sofferenze cui tentano di sfuggire, dei rischi mortali dei viaggi che affrontano, delle speranze che hanno nel cuore.
Di fronte al fenomeno di cittadini extraeuropei che tentavano, senza i documenti in regola, di entrare nel nostro Paese, si usava una volta il termine “clandestini”. Indicava qualcuno che, in assenza di permessi legittimi, volesse entrare in Italia. La clandestinità sarebbe scomparsa non appena l’itinerante “oscuro” fosse stato identificato e catalogato secondo le norme internazionali. Quando il fenomeno migratorio diventò più consistente, la parola “clandestino”, cominciò ad essere sentita come una pietruzza in una scarpa.
Il problema di quei “clandestini” crebbe poi a dismisura, ed uno dei mezzi risolutori della faccenda fu quello di cambiare la denominazione di quei poveracci: da “clandestini” a “migranti”. Così, le civili penne e le belle anime si misero il cuore in pace. Un certo problema era sembrato risolto, almeno secondo il loro punto di vista. Anche se i rischi e le sofferenze, e l’avventura terribile degli uomini e delle donne e dei bambini, mano a mano che i ”migranti” aumentavano di numero, si ingrossavano, il fatto di non chiamarli più “clandestini” sembrò di notevole importanza.
Come tutti i palliativi, che non curano le malattie, ora anche la voce “migrante” viene associata ad un che di offensivo. Sembra, ai giornalisti dell’emittente pan – araba ed al nostro ministro, che le vicende dei milioni di persone che tentano di passare dai Paesi arabi a quelli europei siano maggiormente rispettate, e condivise e favorite indicando i soggetti indistintamente con il nome di "profughi”. Solo che non tutti, ed anzi la minor parte degli antichi “migranti”, possono fregiarsi della nuova etichetta secondo il diritto internazionale, che distingue i profughi veri e propri dai viaggiatori, per motivi economici, verso altri lidi.
Non basteranno i nomi del vocabolario a risolvere il problema migratorio in atto tra l’Africa, l’Asia e la vecchia Europa.