Un anno e 10 mesi di reclusione e 750 euro di multa (pena sospesa) è la pena inflitta al 67enne Giovanni Francesco Scimemi, possidente salemitano residente a Mazara, processato, in Tribunale, a Marsala, per ricettazione di beni di valore storico-archeologico. Accusa dalla quale sono stati, invece, assolti i castelvetranesi Antonino Arimondi, di 56 anni, e Pierangelo Pizzo, di 36. Quest’ultimo con precedenti per piccoli furti. Il pm Anna Cecilia Sessa aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati: 3 anni e 8 mesi di carcere e 4500 euro di multa per Scimemi, 2 anni e mezzo e 2300 euro di multa per gli altri due. Per Scimemi, difeso dall’avvocato Giovanni Miceli, le accuse sono state, comunque, ridimensionate. Ciò nonostante, il legale preannuncia “appello”. Dopo la requisitoria del pm Sessa, l’avvocato Miceli aveva affermato: “Non è ricettazione, ma solo detenzione. Non è reato. E poi, come stabilito dalla Cassazione nel 1979, deve essere il pm a provare l’illegittimità della detenzione di beni archeologici. Beni che Scimemi non nascondeva, ma teneva in bella mostra a casa”. L’inchiesta è scaturita da un’intercettazione telefonica effettuata dai carabinieri di Pisa sul cellulare di un toscano sospettato di commerciare antichi reperti. In quella telefonata, Scimemi diceva a tale Guasti che gli avrebbe spedito un pacco. Per il pm Sessa “è stata provata la penale responsabilità Scimemi, che si è difeso dicendo che quei beni (antichi vasi, monete, etc., ndr) sono della sua famiglia da oltre 300 anni, ma non sono stati mai denunciati, nella sua abitazione, inoltre, sono stati trovati un metal detector e una stele del parco archeologico di Selinunte”. Gli due imputati sono stati rispettivamente difesi dagli avvocati Walter Marino ed Eugenio Brillo. Marino, in particolare, ha sostenuto che il suo cliente “ha appena la licenza elementare e non si rendeva conto del valore della statuetta di terracotta, alta 18 cm, trovata a casa sua e ricevuta dal padre, altrimenti l’avrebbe venduta”.