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09/11/2015 06:25:00

Processo a don Caradonna, oggi parla lui. Truffa a Selinunte, attesa la sentenza

 

Tocca a lui, all'imputato oggi andare a deporre. E' don Vito Caradonna, ex parroco della chiesa di San Leonardo a Marsala ed ex cappellano del carcere di piazza Castello, a processo per circonvenzione d'incapace.
Per l’accusa, Vito Caradonna (attualmente “sospeso a divinis” a causa di una condanna subìta per tentata violenza sessuale su un uomo) si sarebbe fatto consegnare quasi 70 mila euro da un parrocchiano, M.D.G., ex militare della Marina con problemi di natura psichica. E solo a fine ottobre 2011, grazie all’intervento di un legale che abita in quella zona del versante nord marsalese, anch’egli parrocchiano di San Leonardo, l’ex militare in pensione riuscì a riavere i suoi soldi. In pratica, tutti i suoi risparmi. Il denaro, secondo Procura e sezione di pg della Guardia di finanza, sarebbe stato spillato in più soluzioni “abusando dello stato di infermità o deficienza psichica” del parrocchiano. 
Con testimonianze dell’arciprete di Marsala don Giuseppe Ponte e di Gaspare Marino, legale rappresentante dell’Autoservizi Salemi, nell'ultima udienza è stata esaurita la lista testi del pm. “Don Vito Caradonna – hanno sostanzialmente affermato i due testi - chiese più volte denaro in prestito anche a noi”. Solo Marino ha detto che, dopo varie sollecitazioni e insistenze (varie telefonate), Caradonna gli restituì tutto il denaro che gli aveva prestato in due soluzioni (alcune migliaia di euro). L’arciprete, invece, ha raccontato che soltanto un parte del denaro prestato (in tutto, circa 5 mila euro) gli è stato finora restituita. Nell’ultima udienza, su domanda di uno dei due difensori dell’imputato, l’avvocato Luigi Pipitone (l’altro legale è Stefano Pellegrino), si è parlato anche il capitolo del presunto “vizio del gioco”. Un’ipotesi contestata dai difensori sin dalle prime battute del processo. Alla domanda dell’avvocato Pipitone: “Quante volte ha visto don Vito Caradonna acquistare Gratta e vinci?”, Gaspare Marino (era stato lui a parlarne agli inquirenti) ha risposto: “Solo una volta, a Enna, dove eravamo andati in pullman per una gita parrocchiale”. Lo scorso 21 settembre, in Tribunale, era stato ascoltato un altro prete, don Enzo Amato, a cui Caradonna aveva chiesto un altro prestito. “Don Vito – dichiarò don Enzo Amato - mi chiese un prestito di 45 mila euro per esigenze di parrocchia. Prestito che io gli concessi, con bonifico dal conto della mia parrocchia a quello della sua, dopo aver avuto l’avallo del vescovo (Domenico Mogavero). Dopo circa un mese, mi restituì il denaro”. Nel marzo 2012, quando scattò l’accusa di circonvenzione d’incapace, il giudice delle indagini preliminari Francesco Parrinello dispose, per don Vito, il divieto di dimora nel Comune di Marsala. Misura cautelare poi revocata. Da un accertamento alla Camera di commercio, inoltre, è emerso che furono ben 17 gli assegni a vuoto protestati al sacerdote, per un ammontare complessivo di 170.454 euro. E anche la Banca d’Italia confermò l’esistenza di “anomalie” nel tourbillon dei crediti - mutui, affidamenti, etc. - accordati al prete. Un continuo bisogno di denaro che ormai l’aveva condotto dentro un vortice che poco aveva a che fare con la sua funzione di “ministro del culto cattolico”. Anzi, questa veste gli sarebbe stata utile per chiedere denaro a chiunque riteneva nelle condizioni di potere aderire alle sue richieste. Dopo la deposizione di oggi dell'imputato toccherà, nelle prossime udienze, ai testi della difesa.

 

"Selinunte Beach Hotel", oggi la sentenza sulla truffa alla 488
E' attesa per oggi la sentenza al processo su una presunta truffa alla legge 488 per la costruzione di un albergo a Selinunte, il Selinunte Beach Hotel. Un processo che si tiene a Marsala e che vede imputati i castelvetranesi Giovanni Cascio, di 68 anni, Girolamo Grande, di 61, Eugenio Brillo, di 64, Mario Aldo Brillo, di 60, e Giacomo Fundarò, di 70, e i marsalesi Antonino Titone, di 57, Salvatore Ciaramidaro, di 61, e Girolamo Bartolomeo Castiglione, di 53. 

Si va verso la prescrizione però. E’ ormai passato troppo tempo dall’epoca dei fatti. La prescrizione ha ormai azzerato tutte le contestazioni. Come ha rilevato lo stesso pubblico ministero, costretto a chiedere il “non luogo a procedere” per l’estinzione dei reati per i quali si procedeva. In fumo, dunque, tutto il lavoro svolto dalla Guardia di finanza di Castelvetrano e dalla magistratura. I legali della difesa hanno, comunque, chiesto al Tribunale di Marsala di pronunciarsi “nel merito” con un’assoluzione. In caso di prescrizione, infatti, gli imputati, evitata la condanna penale, rischiano però di andare incontro a una serie di conseguenze di natura amministrativa. In subordine, la difesa si “accontenta” della prescrizione. La sentenza attesa per oggi. Otto, alla sbarra tra imprenditori, commercianti e artigiani fornitori di beni e prestazioni d’opera che avrebbero emesso quelle “false fatture” necessarie per incassare gli “indebiti” finanziamenti. Contestati, a vario titolo, anche i reati di false dichiarazioni ed evasione fiscale. Artefici della truffa, secondo l’accusa, sarebbero stati Cascio, amministratore della Seven Turist, Grande, amministratore della Grande Immobiliare (con Eugenio Brillo) e della Costruzioni immobiliari, Amedeo Brillo, direttore dei lavori della Seven Turist, e Fundarò, amministratore della A.S. Costruzioni. I finanziamenti concessi furono di oltre due milioni e mezzo di euro. La struttura alberghiera, prima sequestrata e poi dissequestrata, è tutt’ora in funzione. E’ composta da tre corpi di fabbrica (per 88 camere, su due piani e cantinato). False fatture e false dichiarazioni, secondo gli investigatori, indussero i funzionari del ministero delle Attività produttive ad autorizzare, nel maggio 2005, l’erogazione di un finanziamento di 934.704 euro (a carico del bilancio nazionale) e 400.586 euro (bilancio regionale) e poi, nel novembre 2006, di 1.335.292 euro.


Processo per violenze in caserma dei carabinieri a Pantelleria, la requisitoria
E' il giorno della requisitoria del pd Antonella Trainito nel processo per le presunte “violenze” che nel 2011 sarebbero state commesse, secondo l’accusa, tra le mura della stazione dei carabinieri di Pantelleria. Ad essere picchiati sarebbero state persone fermate per controlli. Alla sbarra sono il maresciallo Claudio Milito, accusato di aver avuto “mano pesante” assieme a Luca Salerno, Lorenzo Bellanova, Rocco De Santis e Stefano Ferrante. Di omessa denuncia, invece, sono accusati il capitano Dario Solito, ex comandante della Compagnia di Marsala, e il maresciallo Giuseppe Liccardi, che all’epoca dei fatti era comandante della stazione di Pantelleria. Un “dettaglio” relativo a uno dei casi di violenza contestati dall’accusa ha fatto “saltare” requisitoria durante l'udienza precedente. Alla base del rinvio della requisitoria la data in cui, in caserma, sarebbe stato picchiato il romeno Iva Diomed. Da relazioni di servizio e dall’interrogatorio di un imputato (il maresciallo Liccardi), ha spiegato lo stesso pm, è emerso che la data è diversa da quella riportata nell’iniziale capo d’imputazione. Il rappresentante dell’accusa ha, quindi, fornito la data corretta. Ma per procedere alla requisitoria occorreva il consenso degli imputati interessati all’episodio per eventuali richieste di “termini a difesa”. Consenso che è stato prestato, per voce dei loro difensori, dagli imputati presenti. Il maresciallo Milito, però, era assente e quindi, come ha stabilito il Tribunale (presidente Sergio Gulotta), bisognerà notificargli la novità, che per i legali di parte civile “non cambia nulla”. Iva Diomed, infatti, non si è costituito parte civile. A differenza di quanto hanno fatto il marsalese Vito Sammartano, dalla cui denuncia è partita l’inchiesta, svolta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura, il suo amico pantesco Massimo Barbera, entrambi assistiti dall’avvocato Gaetano Di Bartolo, e Giacomo Brignone, anch’egli di Pantelleria, assistito dagli avvocati Stefania Valenza e Leo Genna. A difendere gli imputati sono, invece, gli avvocati Stefano Pellegrino, Gianpaolo Agate, Maurizio D’Amico e Paolo Paladino. Nelle udienze precedenti l’avvocato Pellegrino aveva prodotto sentenze e certificati penali riguardanti coloro che hanno accusato i carabinieri di averli picchiati. “Ho prodotto queste carte – spiegò il legale – per provare quali potessero essere i motivi di astio, acredine e risentimento da parte dei denuncianti nei rappresentanti delle forze dell’ordine che più volte li avevano perseguiti penalmente, anche arrestandoli”. Molti dei denuncianti (alcuni sono romeni) non si sono costituiti parte civile.