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30/12/2015 06:20:00

Top news 2015. Le inchieste dell'anno: il maxi sequestro a Licata, le operazioni antimafia

La notizia sul sequestro di beni per 127 milioni di euro all’imprenditore marsalese del turismo, Michele Licata, è fra le top news del 2015 assieme alle operazioni antimafia del trapanese.

Già ad aprile scorso, il nucleo di polizia tributaria di Trapani e la sezione di p.g. della Guardia di Finanza presso la Procura di Marsala avevano sequestrato per equivalente, per i reati tributari contestati, somme di denaro, quote societarie, beni mobili ed immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro (quale profitto di evasione fiscale e truffa in danno dello Stato), nonché le quote sociali e dei relativi beni mobili ed immobili di 4 complessi aziendali del valore di circa 100 milioni di euro. Oltre all'imprenditore Michele Licata venivano coinvolti nell’operazione altre 13 persone, tra cui i suoi familiari, a cui vengono contestati truffa aggravata ai danni dello Stato, dichiarazione fraudolenta finalizzata all'evasione fiscale, emissioni di fatture per operazioni inesistenti.

L’operazione “scacco al Re”, perchè Licata è il principale imprenditore locale nel settore della ristorazione e delle strutture alberghiere della provincia di Trapani, scatta all’alba del 26 novembre.
Il procuratore Alberto di Pisa, che ha coordinato le indagini, ha confermato in conferenza stampa che si tratta del più grande patrimonio posto sotto sequestro in Italia e non collegato a fatti di mafia, ma che è stato possibile sequestrare come se lo fosse. Il sequestro è stato emesso alla luce del nuovo codice antimafia, che consente, appunto, il sequestro di tutto il patrimonio di un soggetto che ha vissuto e vive con i proventi di attività delittuose. Così nel dettaglio il comunicato della Guardia di Finanza che fa un quadro completo di tutta l’operazione:

 La Procura della Repubblica di Marsala, ha dato esecuzione al più imponente provvedimento cautelare di natura patrimoniale mai effettuato nei confronti di società, persone fisiche, che ha portato al sequestro di beni e disponibilità finanziarie per 127 milioni di euro circa.

Il decreto di sequestro, emesso dal Tribunale di Misure di Prevenzione di Trapani, è stato emesso nei confronti di LICATA Michele Angelo, noto imprenditore di Marsala, del coniuge, ABRIGNANI Maria Vita, delle figlie Valentina, Clara Maria e Silvia, della madre, LI MANDRI Maria Pia, del genero, CORDARO Roberto, nonché delle società DELFINO srl, DELFINO RICEVIMENTI srl, ROOF GARDEN srl, RUBI srl, DON MARIANO srl, L’ARTE BIANCA srl, PUNTA D’ALGHE srl, RAKALIA srl,SWEET TEMPTATION srl, WINE RESORT DI ABRIGNANI MARIA VITA & C. sas, SOLE ASSOCIAZIONE cooperativa onlus e delle omonime ditte individuali intestate a LICATA Michele Angelo, ABRIGNANI Maria Vita e LICATA Clara Maria.
In particolare, le fiamme gialle stanno procedendo al sequestro dei seguenti beni:
quote sociali e compendi aziendali delle suddette società e ditte individuali, che gestiscono fiorenti attività economiche come il “Baglio Basile”, il “Delfino Beach Resort”, la “Delfino Ricevimenti” , “La Volpara” ed altre attività turistico ricettive, tutte ubicate tra Marsala, Petrosino e Pantelleria; in dettaglio: 247 appezzamenti di terreno, 73 fabbricati, 23 automezzi e 14 conti correnti, il tutto per un valore di circa 112 milioni di euro.

n. 2 fabbricati e n. 10 terreni intestati a LICATA Michele Angelo ed ABRIGNANI Maria Vita per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro
n. 57 rapporti di conto corrente, avente un saldo attivo di 5,7 milioni di euro;
n. 6 polizze d’investimento, per complessivi euro 4,6 milioni di euro.
Il suddetto provvedimento è stato emesso alla luce delle disposizioni normative previste dal Codice Antimafia, che consentono, tra l’altro, la confisca, previo sequestro cautelare, del patrimonio mobiliare ed immobiliare riconducibile a LICATA Michele Angelo ed al suo nucleo familiare, in quanto soggetto che, per la condotta ed il tenore di vita, ha vissuto e vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose.
La complessa attività di indagine ha inconfutabilmente accertato il ruolo di deus ex machina nella rilevantissima evasione fiscale realizzata da LICATA Michele Angelo attraverso le società allo stesso riconducibili, con imposte evase pari a circa 9 milioni di euro.
La suddetta evasione è stata conseguita mediante l’annotazione in contabilità di numerosissime fatture per operazioni inesistenti, ammontanti complessivamente a circa 25 milioni di euro, emesse da numerosi fornitori compiacenti nei confronti della DELFINO srl, DELFINO RICEVIMENTI srl, ROOF GARDEN srl e RUBI srl, nel periodo compreso dall’anno d’imposta 2005 al 2013.
La rilevantissima somma di denaro derivante dall’evasione fiscale, è stata poi sostanzialmente reinvestita nel corso degli anni dal LICATA Michele nelle suddette società, atteso che il profitto dei reati tributari si è concretizzato nell’imponente e risparmio di spesa per ognuna delle società derivante dal minore versamento di imposte nelle casse dell’Erario dello Stato.
Il dettagliato esame delle scritture contabili delle suddette società ha permesso di acclarare che LICATA Michele Angelo ha rilevato in contabilità fittizi pagamenti eseguiti nei confronti dei suddetti fornitori, per circa 13 milioni di euro, somma di denaro sottratta dal LICATA stesso alle casse sociali della DELFINO srl, DELFINO RICEVIMENTI srl, ROOF GARDEN e RUBI srl, attraverso il fittizio pagamento effettuato da dette società nei confronti dei fornitori, per debiti derivanti da fatture relative ad operazioni inesistenti.
Inoltre, è stato accertato che nel corso degli anni, LICATA Michele Angelo ha reinvestito nelle società DELFINO srl e ROOF GARDEN srl, le ulteriori somme di denaro derivanti dalla truffa realizzata nei confronti dello Stato, nel periodo compreso dal 2007 al 2009, per 4.300.000,00 circa, nonché si è reso responsabile di ulteriori condotte criminali, quale la tentata truffa e la malversazione, relativamente ad ulteriori finanziamenti richiesti dalle società nell’ambito del nell’ambito del P.O. FESR Sicilia 2007/2013, Azione d’intervento 3.3.1.4.
La propensione a traffici delittuosi e a vivere col provento di delitti dimostrati dal LICATA emerge peraltro dal suo lungo curriculum criminale, protrattosi con continuità dal 1997, perciò per quasi un ventennio. L’esame dei numerosi elementi acquisiti nel corso delle indagini ha evidenziato una vera e propria specializzazione a porre in essere attività delittuose, particolarmente nel settore tributario, finanziario, economico, edilizio, e alimentare, con una spiccata capacità di operare mediante elusioni e attività dirette ad evitare l’imposizione tributaria per trarre illeciti guadagni, nonché fraudolentemente destinate all’ottenimento di ingenti erogazioni pubbliche. Una analisi anche solo superficiale dei dati emersi nel corso delle indagini induce a ritenere dall’attività delinquenziale posta in essere dal LICATA attraverso l’evasione fiscale e le truffe agite questi abbia percepito un illecito guadagno di rilevantissima entità, che costituisce a tutt’oggi la base di tutte le sue ulteriori attività.
La storia giudiziaria del LICATA e l’analisi del complesso patrimoniale riconducibile allo stesso e al suo nucleo familiare evidenziano la scaltrezza del predetto che, operando a vario titolo, ora come amministratore legale delle società, ora come amministratore di fatto, realizza false fatturazioni, per milioni di euro, traendo guadagni illeciti rilevantissimi e utilizza i medesimi atti falsi per frodare illegittimi finanziamenti, ora impossessandosene personalmente, ora malversandoli.
Le numerose sentenze di condanna subite da LICATA Michele costituiscono un indice della sua accertata predisposizione al delitto. Considerato, inoltre, che nell’anno 2015 questi è stato destinatario di 2 avvisi di conclusione indagini, per reati di truffa, tributari ed edilizi, nonché nel corso degli anni è stato sottoposto a numerosi procedimenti penali per i reati di truffa aggravata, appropriazione indebita, illeciti edilizi, ecc., non può che evidenziarsi la persistenza nel tempo di un comportamento illecito e antisociale, tale da rendere necessaria una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza.
La personalità del LICATA Michele si inquadra esattamente nella categoria di soggetti adusi a vivere attraverso espedienti sempre elusivi della legge, ponendo in essere condotte che, talvolta sono sfuggite a un reale controllo da parte degli organi dello Stato, perché analizzate disorganicamente, a causa della sua elevatissima capacità criminale nel dissimulare e celare, con variegatissimi espedienti, sia l’attività illecita che la riconducibilità a sé della stessa, anche mediante parcellizzazioni delle condotte ed intestazioni fittizie delle aziende e del patrimonio ai propri familiari.
Preme sottolineare la particolare caratura del sequestro operato nel contesto delle misure di prevenzione – solitamente consequenziali a fatti connessi alla criminalità organizzata - in quanto, nel caso del LICATA, la Procura lilybetana ha evidenziato la spiccata pericolosità del proposto atteso il suo status di “abituale evasore fiscale socialmente pericoloso”, significativo del suo “stile di vita illecito”.

Poco prima dell’operazione maxi sequestro, l’Agenzia delle Entrate era riuscita a recuperare tasse evase per quattro milioni di euro da Michele Licata. Le imposte recuperate dall’Erario sono quelle evase dalle società del “gruppo Licata” negli anni 2010, 2011 e 2012, nonché parte di quelle del periodo 2006/2009 e 2013. Da recuperare ancora circa tre milioni di euro. Una somma, quest’ultima, che non è stato possibile incassare perché, tra fine marzo e aprile, Michele Licata e le figlie Valentina e Clara Maria avevano versato parte dei capitali sui conti correnti dei familiari.
Licata oltre ad evadere le tasse e frodare lo Stato ed essere finito più volte sotto inchiesta per reati di natura ambientale e abusivismo edilizio, ha evaso anche il pagamento dei tributi comunali a Petrosino, - dove si trova una delle strutture più grandi, il Baglio Basile - , a cui deve circa due milioni di euro, mentre al Comune di Marsala deve circa un milione e 400 mila euro.

Tra le top news 2015 si inseriscono quelle che riguardano diverse operazioni antimafia avvenute in provincia di Trapani.

Tra queste l'operazione “The Witness”, che lo scorso 9 marzo, a Marsala, ha ricondotto in carcere Antonino Bonafede, 79 anni, pastore e vecchio “uomo d’onore” marsalese, Martino Pipitone, di 64, ex impiegato di banca in pensione, anch’egli in passato già arrestato per mafia, e due incensurati: Vincenzo Giappone, 53 anni, pastore, e Sebastiano Angileri, di 48, fabbro. Quest’ultimo è accusato di favoreggiamento. Ad eseguire gli arresti sono stati i carabinieri. Per gli inquirenti, Antonino Bonafede avrebbe “ereditato” il bastone del comando in seno alla locale famiglia mafiosa dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo.

L’operazione Ermes del 3 agosto scorso si inserisce tra le operazioni volte a colpire il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, come Golem I e II e Eden I e II. A finire in manette sono stati gli esponenti di vertice delle famiglie di Cosa Nostra trapanese e presunti favoreggiatori del boss latitante.  Arresti e perquisizioni sono stati eseguiti nelle province di Palermo e Trapani da personale delle Squadre Mobili delle due citta’ con il coordinamento del Servizio centrale operativo della polizia di Stato e la partecipazione del Ros dei carabinieri. I provvedimenti restrittivi riguardano i capi del mandamento di Mazara del Vallo e dei clan di Salemi, Santa Ninfa, Partanna, ritenuti feudi di Messina Denaro. A finire in manette una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, Vito Gondola, detto Vito Coffa,  inserito in rapporti giudiziari sin dagli anni ’70. Allora faceva parte della banda Vannutelli che la mafia utilizzò, in alleanza con l’eversione di destra, per mettere a segno alcuni sequestri, come quello del salemitano Luigi Corleo e del professore universitario Nicola Campisi. Tutto scritto in un rapporto dell’allora capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Peri, che però le Procure interessate preferirono farne carta da archivio.
Oltre a Vito Gondola, sono stati arrestati: Leonardo Agueci, Salemi, 28 anni, Ugo Di Leonardo, Santa Ninfa, 73 anni, Pietro e Vincenzo Giambalvo, 77 e 38 anni, padre e figlio, Sergio Giglio, Salemi, 46 anni, Michele Gucciardi, Salemi, 62 anni, Giovanni Loretta, mazarese, 43 anni, Giovanni Mattarella, Mazara, 49 anni (genero di Vito Gondola), Giovanni Domenico Scimonelli, Partanna, 48 anni, Michele Terranova, Salemi, 46 anni.

Alqamah è l'operazione antimafia del 29 ottobre svolta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani tra Alcamo, Palermo e Milano, che ha portato all’arresto di tre persone: Antonino Bonura, e i fratelli Nicolò e Leonardo Coppola. Due le persone raggiunte dalla misura cautelare dell'obbligo di dimora:Gaetano Manno e Salvatore Giordano. Sono state poi sequestrati beni e società per un valore di circa 3 milioni di euro costituenti l'intero capitale sociale della Trasport Scavi Srl, con sede ad Alcamo, e la Calix Wine Srl con sede a Palermo. Società attribuibili rispettivamente a Nicolò Coppola e a Bonura, entrambi pregiudicati di mafia.