È morto Umberto Eco, uno degli intellettuali italiani più celebri al mondo. Aveva 84 anni, compiuti da poco, lo scorso 5 gennaio. Scrittore, saggista, semiologo, docente universitario. Eco è stato una presenza importante della vita culturale italiana degli ultimi sessant’anni, ma il suo nome resta innegabilmente legato, a livello internazionale, allo straordinario successo del suo romanzo Il nome della rosa, edito nel 1980 da Bompiani e diventato ben presto un bestseller internazionale, con traduzioni in tutto il mondo e milioni e milioni di copie vendute.
Ripercorrere la vita e la carriera di Umberto Eco significa ricostruire un pezzo importante della nostra storia culturale, anche perché Eco ha rappresentato prima di tutto lo scardinamento di un sistema vecchio e ostinatamente accademico.
Nato ad Alessandria, poi laureatosi in Filosofia nel 1954 all’Università di Torino con Luigi Pareyson. Ma che la vita di Eco non sarebbe stata soltanto quella accademica lo si era capito ben presto. Nello stesso anno della laurea partecipa a un concorso Rai che vince. Compagni di avventura sono Furio Colombo e Gianni Vattimo. Da quel momento in avanti il percorso di Eco sarà uno straordinario alternarsi di ruoli istituzionali e di imprevedibili «invenzioni». Elemento distintivo di tutti i suoi lavori sarà sempre la straordinaria curiosità. Curiosità che lo porterà a studiare e analizzare con lo stesso rigore l’opera di San Tommaso e Mike Bongiorno, i manoscritti medievali e gli albi a fumetti.
Umberto Eco sarà, o meglio è, per tutti, il semiologo. Uno degli studiosi italiani che con più vigore e interesse hanno abbracciato gli studi di semiologia. E che grazie al suo impegno sono entrati con forza nei programmi di studio universitari, talvolta con qualche eccesso.
Poderosa la lista dei suoi lavori. Nel 1956 esce la sua prima opera: Il problema estetico in San Tommaso (Edizioni di Filosofia). Del 1963 un libro che è diventato ormai un classico Diario minimo (Mondadori), volume che raccoglie saggi come Fenomenologia di Mike Bongiorno e Elogio di Franti. E ancora, Apocalittici e integrati (Bompiani) del 1964, altro classico La struttura assente (Bompiani, 1968). Ma la celebrità a livello mondiale arriverà nel 1980 con Il nome della rosa. Un romanzo che farà riscoprire all’Italia e poi al mondo intero, attraverso la formula del giallo, dell’intrigo, del mistero, il meraviglioso mondo medievale. Con Il nome della rosa Eco vincerà il Premio Strega nel 1981 e numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Ma al di là dei premi Il nome della rosa ha rappresentato il desiderio di Eco di dare pari dignità a tutte le forme culturali. Dopo Il nome della rosa, sono arrivati Il pendolo di Foucault (1981), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000); fino al più recente Numero zero. Tutti bestseller editi da Bompiani (qui la conversazione dello scrittore con Paolo Mieli, a cura di Dino Messina, in occasione dell’uscita dell’ultimo libro).
Umberto Eco è stato anche un infaticabile operatore culturale, ricoprendo ruoli importanti: in Bompiani dal 1959 al 1975 è stato condirettore editoriale. E proprio in questi mesi aveva deciso con amici come Elisabetta Sgarbi, Mario Andreose e un gruppo di scrittori di dare vita a una nuova casa editrice, La nave di Teseo. Una scelta coraggiosa, in linea con le scelte di una vita intera, sempre con la curiosità di vedere come sarebbe andata a finire.
Scrive Gianni Riotta su La Stampa:
Raccontava, senza astio, di essere andato in cattedra molto dopo i suoi coetanei, «perché non facevo gli auguri ai baroni», ma era il suo trattare la cultura «alta o bassa» con la stessa appassionata dedizione a renderlo sospetto agli snob italiani. Che un semiologo, un critico letterario, un filosofo si occupasse di fumetti –era stato tra gli animatori di Linus con Oreste Del Buono-, che un docente predicasse «per capire la cultura di massa dovete amarla, non potete scrivere un saggio sul flipper se non avete giocato a flipper» stuccava i nipotini di Croce. Per i prossimi due giorni leggerete solo articoli in cui tutti daranno del Maestro a Umberto Eco, ma da vivo faticò per affermarsi nell’accademia e molti campioni del passato, Pietro Citati per esempio, lo attaccarono senza complimenti. Il suo manuale «Come si fa una tesi di laurea» spiegava che a scrivere si impara, non è opera da geni pazzi, ma raccomandava ai laureandi di diventare specialisti della propria materia, «la vostra tesi deve essere la numero uno!».