La grande sfida nutrizionale dei prossimi anni è diffondere la cultura della corretta alimentazione, prestando grande attenzione all’ambiente obesogenico circostante e alla creazione di nuove strategie di protezione dei bambini da esso. L’obesità e il sovrappeso nei Paesi occidentali sono una vera piaga sociale che coinvolge nel nostro Paese circa il 30% dei bambini tra gli 8-9 anni (Okkio alla salute: sintesi dei risultati 2014). Associati a queste malattie, ci sono innumerevoli fattori di rischio che vanno dalle patologie cardiovascolari, al diabete, alle patologie respiratorie croniche sino ad alcune forme di tumore. Ecco perché è fondamentale la prevenzione, che deve partire da subito, da quando la mamma è in gravidanza. E’ necessario lavorare sulla prevenzione e impostare, già nei primi anni di vita, corrette abitudini nutrizionali e uno stile di vita attivo. I bambini di oggi potrebbero avere una prospettiva di vita minore rispetto ai genitori e, in caso di sovrappeso gli interventi dietetici in età scolare possono risultare tardivi. Fondamentali sono i primi mille giorni, in cui molte delle capacità funzionali sono immature e la programmazione della loro maturazione può essere condizionata da eccessi o difetti di nutrienti nella dieta. Un’alimentazione ricca di proteine nei primi due anni risulta, infatti, associata a una precocità dell’adiposity rebound che avviene quando aumenta l’apporto calorico per il bambino, ovvero il rapporto tra calorie ingerite rispetto a quelle consumate. A due anni, se questo fenomeno è aumentato, vuol dire che il bambino è a rischio obesità. Un’assunzione esagerata di proteine, di zuccheri e Sali, oltre a porzioni abbondanti sono sul banco degli imputati. L’apporto proteico maggiore deriva dal latte, pertanto la scelta del tipo di latte è cruciale. Come indica l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’allattamento al seno esclusivo è raccomandato per i primi 6 mesi di vita e andrebbe poi proseguito, nell’ambito di una dieta diversificata, il più a lungo possibile, secondo il desiderio di mamma e bambino. Non è solo un nutrimento, ma un sistema biologico capace di difendere il bambino da malattie e aiutare lo sviluppo cerebrale. Quando l’allattamento al seno materno non è possibile, si può ricorrere ai latti formulati a basso apporto proteico, mentre dopo l’anno va preferito il latte di crescita al posto di quello di mucca. Il latte vaccino, infatti, ha un contenuto di proteine che è tre volte superiore a quello del latte materno ed è povero di ferro, non adatto quindi all’organismo di un bambino sotto l’anno di vita. Un atteggiamento ancora più prudente suggerisce di rimandare l’introduzione del latte vaccino dopo i 24, meglio i 36 mesi. Diversamente, il latte vaccino inserito precocemente porterebbe a uno sbilanciamento della dieta, oltre a non rispondere ai fabbisogni nutrizionali specifici di quella fascia di età. Il bambino non è un adulto in miniatura: ecco perché ha bisogno di un’alimentazione adatta alle sue specifiche esigenze nutrizionali. Infatti, rispetto a un adulto un bimbo necessita di 5 volte in più di ferro. Il cosiddetto latte di crescita è un latte con un profilo proteico ottimizzato e un corretto apporto, oltre che di ferro, di calcio e di vitamine e, per questo è consigliabile da 1 ai 3 anni in abbinamento a una dieta varia. E i vantaggi dei latti di crescita non sono finiti qui. Oltre al ridotto apporto di protezione e a un’adeguata quota di ferro le formule hanno una presenza adeguata di micronutrienti (oltre al ferro, lo zinco) necessari per lo sviluppo del sistema immunitario e neurologico, ma anche una giusta quantità di vitamine e acidi grassi essenziali, importanti per la crescita e lo sviluppo neuro comportamentale. Anche i sali minerali sono adattati per essere ben tollerati dall’apparato renale del bambino e la presenza dei polisaccaridi assicura una migliore digeribilità rispetto al solo lattosio. Lo svezzamento è una fase cruciale nella storia nutrizionale del bambino, un periodo molto delicato nel quale si passa da un’alimentazione dipendente a una indipendente. Non esiste un momento uguale per tutti i lattanti in cui iniziare con il divezzamento. Il momento “giusto” per l’introduzione dei primi cibi diversi dal latte dipende da numerose variabili individuali, tra cui le esigenze nutrizionali, lo sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale, il contesto socioculturale. Spetta al pediatra valutare e dare indicazioni in merito. Per quanto riguarda il fabbisogno giornaliero, in questa fase è pari al 70-75 kcal/kg al giorno, suddiviso tra i diversi macronutrienti: carboidrati, proteine e lipidi. Sale e zucchero non vanno mai aggiunti nelle pappe poiché lo sviluppo del gusto condiziona le scelte alimentari anche nei primi anni di vita del bambino. Le preferenze e le repulsioni alimentari di ogni individuo sono basati su fattori biologici, ma vengono ulteriormente modificate attraverso l’esperienza. I bambini sono biologicamente predisposti a preferire alimenti dolci, salati e saporiti, così come sapori associati a un’alta densità energetica. Poiché le preferenze alimentari sono malleabili e si modificano in risposta a fattori sociali e ambientali, è necessario che non solo durante le prime fasi di vita ma anche successivamente gli alimenti sani facciano parte del regime dietetico familiare in modo che, una volta che le preferenze alimentari si sviluppano, il bambino possa continuare a conservarle. Aumentare l’attenzione verso un’alimentazione sana e soprattutto in quei periodi, come i primi anni di vita, più sensibili per fissare una preferenza alimentare, diventa la migliore strategia per consolidare, nelle età successive, non solo l’abitudine ma anche il piacere di mangiare sano. Ci sono piccole regole da seguire come una sana colazione tutti insieme, e per i più piccoli, 4-5 pasti al giorno, facendo grande attenzione a scegliere per loro alimenti su misura. A questo fine, un grande aiuto viene dai prodotti per l’infanzia, sicuri e controllati.
L’Osservatorio mamme di Sfera ha analizzato come si nutrono le famiglie oggi. Quello che è emerso (in oltre 17.000 questionari) è che, a livello teorico, viene riconosciuta l’importanza dell’alimentazione nella prevenzione di malattie e disturbi ma, nella pratica solo 1 donna su 3 in gravidanza ha cambiato le proprie abitudini alimentari e oltre il 30% delle mamme non considera lo svezzamento un momento decisivo per impostare un rapporto sano con il cibo; e oltre il 42% non da abbastanza importanza all’idratazione nella dieta dei più piccoli. Il processo in cui uno stimolo positivo in un periodo specifico della vita produce un risultato permanente a lungo termine avviene nei primi mille giorni di vita (compresa la gravidanza), periodo in cui è possibile con un’alimentazione equilibrata e sana, gettare le basi per la salute futura del bambino.
Dott. Angelo Tummarello
Pediatra di famiglia
Consigliere provinciale Federazione Italiana Medici Pediatri
Ricercatore e divulgatore scientifico
Marsala
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