Ah, la famiglia, la famiglia… Vuoi mettere il cerchio magico, il giglio magico e adesso addirittura il raggio magico a cinque stelle con la vecchia e cara famiglia democristiana?
Nella Sicilia di Alfano «’a famigghia». In questo senso ritrovarsi come figlio, fratello, marito, cognato e cugino, pure acquisito, niente meno che il ministro dell’Interno restituisce ai vincoli del sangue un’importanza che la post-politica sembrava aver messo in secondo piano. Errore.
Oltre al fratello scavezzacollo che fa carriera alle Poste (e non solo) con straordinaria facilità e anche per questo va a buscare ragguardevolissimi stipendi in un comparto dove migliaia di poveracci per lo più precari vivono mille difficoltà; oltre a un anziano padre che da Agrigento spinge e spinge una inaudita quantità di persone verso posti di lavoro con un’autorità da deus ex machina; ecco che grazie agli odierni impicci per forza di eventi viene fuori, o meglio si ritorna a parlare anche della moglie del ministro-capopartito, Tiziana Miceli, avvocata civilista davvero di enorme successo presso varie pubbliche amministrazioni che con prolungata intensità si avvalgono del lavoro del suo studio, Rm-Associati, se è vero che dal 2008 al 2012 la Serit, agenzia di riscossione tasse dell’isola, ha affidato alla cura del suo ufficio la bellezza di 358 incarichi.
Con il che, come tutti i fenomeni di rilievo sociale e politico che riguardano il potere, la famiglia Alfano merita uno sguardo più attento. Per cui ci sono anche due bravi e fortunati cugini di Angelino, anzi tre. Antonio e Giuseppe Sciumè sono nel ramo ferroviario, l’uno dirigente della Rfi, Rete ferroviaria italiana e l’altro alla Blue ferries; mentre un’altra cugina, già insegnante, Viviana Buscaglia, ha proiettato i suoi interessi nella protezione ambientale e adesso lavora all’Arpa regionale.
Nella ricostruzione della rete parentale, nella capitale come in Sicilia, gli alfanologi inseriscono anche il capo della segreteria del ministro, Roberto Rametta; e se l’attuale capo dell’ufficio statistiche del ministero della Giustizia, Fabio Bartolomei, è amico d’infanzia di Angelino, che proprio a via Arenula ha lavorato in era berlusconiana, un altro storico collaboratore di cui si legge anche in questi giorni, Aldo Piazza, è stato sindaco di Agrigento.
D’altra parte, l’attuale presidente del consiglio comunale, Daniela Catalano, è sposata con un cugino della moglie di Angelino, l’avvocato Giancarlo Noto. Così come un altro che figura nelle carte della Procura che stanno procurando dei guai al ministro, e cioè Davide Tedesco, è anche lui parente, per l’esattezza cognato, ti spiegano con la dovuta sottigliezza, ma del deputato regionale alfaniano Enzo Fontana.
Sembra dunque di essere ritornati ai tempi in cui, alla metà degli anni 70, fiorì una particolare pubblicistica a base di mappe, relazioni e intrecci parentali che in teoria dovevano documentare l’occupazione del potere, ma che in pratica, specie nel Mezzogiorno, gli stessi democristiani accoglievano con serena soddisfazione, essendo semmai il loro più serio cruccio quello di non poter accontentare o sistemare «nemmeno» i parenti.
Residuale o meno che sia, questa concezione del comando che dalla dinastia dei Gava — studiati anche da sociologi inglesi in cerca di conferme del «familismo amorale» — arriva fino ai nostri giorni con il «partito-famiglia » di Mastella, sembra rivivere nell’anno 2016 nella Gens alfaniana come una sorta di riadattamento clanico o tribale rispetto al nuovo paesaggio ormai privo di partiti.
Tutto naturalmente ha comunque le sue ragioni, anche personali, oltre che democristiane. In origine, ti spiegano, c’è papà Alfanone, a nome Angelo, già assessore e vicesindaco che vistosi chiuso dal triangolo Trincanato- Mannino-Sciangula, punta tutto sul promettente figlio, che non a caso si chiama quasi come lui: quindi gli trasmette la passione, lo manda a studiare alla Cattolica (come Fanfani e De Mita) e al momento buono gli passa i suoi voti.
Giovanissimo, Angelino viene eletto: prima alla Provincia, poi in regione. Così lo comunica a casa: «Mamma, vado a fare l’onorevole ». Così titolano i giornali (e lui conserva il ritaglio). Ah, quanti equivoci si tira appresso la famiglia!
Filippo Ceccarelli e Emanuele Lauria per “la Repubblica”