Il capo dei capi di Cosa Nostra indagato a Lecce. Totò Riina è finito nel mirino della Procura salentina. Proprio lui: la mente delle stragi più efferate degli ultimi decenni in Italia. Il boss 76enne, originario di Corleone, è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso insieme ad altre tre persone in un’indagine avviata da tempo su un presunto intreccio dagli interessi opachi. E’ una storia di vini, terreni, società, immobili e presunte complicità a cavallo tra le province di Lecce e Brindisi. Il fascicolo è coordinato dal procuratore aggiunto Antonio De Donno. Dagli uffici della Procura il riserbo è massimo. Di certo (al di là del nome di Riina) le attenzioni maggiori si sono concentrate sulla “saldatura” stretta dai vertici di Cosa Nostra con esponenti di spicco della Sacra corona unita: il nerbo delle indagini su cui la Procura ha acceso un faro.
L’indagine è condotta dalla Dia di Lecce. Alcune informative e richieste di intercettazioni svelano l’oggetto degli accertamenti. Siamo nel 2012. Gli investigatori si soffermano sulla realizzazione di un’azienda agricola e di un opificio industriale da destinarsi a casa vinicola nelle campagne tra le province di Lecce e Brindisi. Un affare in odor di mafia gestito da una triangolazione di società, tutte con sede legale nel palermitano e legate l’una con l’altra: la prima ditta, proprietaria dei terreni coltivati a vigneto; un’altra che si occupa della coltivazione; una terza che, avendo preso in affitto i terreni, si interessa della vinificazione delle uve e della commercializzazione del vino prodotto. Beni immobili per un valore ingente stimato sugli otto milioni di euro.
I sospetti degli inquirenti si concentrano sulla presunta compiacenza degli amministratori delle società indicati come “teste di legno” dek capo dei capi. Personaggi contigui con gli ambienti mafiosi. Una pista investigativa tracciata dalle dichiarazioni fornite negli anni da alcuni pentiti di peso nella storia criminale siciliana e italiana che hanno squarciato il velo sui tanti segreti della mafia dell’isola. Le testimonianze dei collaboratori si sono inrociate con le fonti confidenziali e i riscontri investigativi. E sono così emersi l’ipotizzata alleanza tra le due associazioni mafiose, il presunto coinvogimento di Riina e un intreccio tra società. L’azienda agricola avrebbe infatti nominato un 49enne originario di Trepuzzi, ritenuto affiliato alla Sacra Corona Unita, come responsabile del personale dipendente dell’azienda: una sorta di tramite tra la mafia siciliana e quella salentina. Anche il nome del 49enne compare nel registro degli indagati insieme alle due “teste di legno” utilizzate per dare una patente di legalità ad aziende a cavallo delle due province.
Gli interessi della famiglia Riina, poi, sarebbero emersi anche per la concomitante presenza della figlia e del genero del boss di Corleone (che risultano estranei all’indagine) a Pancrazio Salentino già otto anni prima. Ebbene, la donna avrebbe iniziato i lavori di ristrutturazione della masseria distante da San Pancrazio circa nove chilometri presentandosi alla gente del posto come “la figlia di Totò Riina”. E il nome del capo dei capi fa così capolino in un fascicolo dell’Antimafia per interessi in chiaroscuro nel Salento, terra sempre più ambita dalle mafie per reinvestire profitti illeciti.