"S'intuisce che Cosa nostra possa essere stata il braccio armato di altri interessi: di una strategia politica; di tipo economico legati agli appalti pubblici; o di entità deviate rispetto alle proprie funzioni dei vertici istituzionali. Purtroppo però della mafia non è stato possibile trovare le prove. Gli elementi per raggiungerle sono a conoscenza di appello solo dei vertici dell'organizzazione, che non hanno collaborato con la giustizia. Né abbiamo avuto collaborazioni da altri settori, esterni a Cosa nostra". Venticinque anni dopo la sentenza della Corte di Cassazione che rese definitive le condanne del maxiprocesso alla mafia, Pietro Grasso ricorda la stagione degli omicidi e delle stragi del '92. Scaturite proprio da quel verdetto di cui fu in qualche modo protagonista: era stato lui, tra il 1986 e il 1987, nelle vesti di giudice a latere della corte d'assise di Palermo, a scrivere le motivazioni sulle responsabilità della Cupola mafiosa. Ma l'attuale presidente del Senato non è convinto che dietro quella scossa di terrore ci fosso solo il movente della vendetta, come spiega in una intervista al Corriere della Sera: "Come in tanti altri l'esistenza della mafia delitti eccellenti di Cosa nostra, credo che ci siano altre possibili causali di contorno, legate ad interessi di altri". L'amara conclusione è che mancano i riscontri: "Ma non dobbiamo mai perdere la speranza di trovare la verità. E continuare a cercare". Quanto al fatto di essere scampato a quella stagione di morte, Grasso confida: "Certe volte viene quasi un senso di colpa, anche se non ce n'è ragione. E solo un problema psicologico. Una serie di circostanze e coincidenze fortunate hanno fatto sì che io sia rimasto vivo, e questo non ha potuto che rafforzare l'impegno preso davanti alle bare dei miei amici; fare di tutto per accertare le responsabilità dei colpevoli. Con la coscienza mi sento a posto".