A Vincenzo Artale si rivolgevano per chiedere aiuto gli imprenditori vittime del pizzo, solo che l'aiuto e il conforto richiesto non arrivava mai perché l'imprenditore insospettabile di Alcamo, iscritto all'associazione antiracket e arrestato lo scorso anno con l'operazione "Cemento del Golfo", era ben inserito nella famiglia mafiosa di Castellammare e al servizio del boss Mariano Saracino.
A provare l'esistenza di questi rapporti, tra Artale e Saracino c'è anche la prova trovata in carcere dalla polizia penitenziaria: un messaggio alla vecchia maniera, con il classico pizzino che, nel caso specifico era un fazzoletto di carta con il quale, a pochi giorni dall'arresto, il boss Saracino dava precise indicazioni ad Artale su cosa fare durante l'interrogatorio. L'episodio è stata svelato qualche giorno fa dopo che l'ordinanza del Tribunale di Trapani ha rigettato la richiesta di revocare il divieto di incontro tra Saracino e altri due imputati dello stesso processo, Vito e Martino Badalucco.
Saracino, che ha fatto tutta la gavetta nella famiglia mafiosa di Castellammare, dopo esserne stato il tesoriere, arrestato negli anni '90 e scontati 10 anni di carcere, una volta tornato libero ne ha preso le redini. La sua attività è legata agli appalti e al cemento, con diversi casi di lavori pubblici e privati in cui ha imposto forniture di cemento e utilizzo di mezzi. E' proprio in questo intrecci di appalti e cemento che si consolida il rapporto tra Saracino e Artale, con l'impresa del secondo che riusciva a scavalcare la concorrenza grazie all'influenza del boss castellammarese.