di Leonardo Agate - Sono sceso in auto da Piana degli Albanesi e sono passato nella valle di Portella della Ginestra, dove il 1° maggio 1947 avvenne l'eccidio di undici dei lavoratori , che in un paio di migliaia si erano là riuniti per festeggiare il 1° maggio e per chiedere la distribuzione delle terre incolte. La tesi prevalente degli storici é che la sanguinosa reazione fu opera della banda di Salvatore Giuliano, in combutta con i grandi agrari.
All'ora meridiana in cui siamo passati da là, non c'era nessuno tranne due genitori con due bambini nel prato della memoria. E la mia memoria mi fa andare a quegli anni terribili, e pure speranzosi, del dopoguerra. La nazione era diventata il piano di battaglia di una guerra di tutti contro tutti. La fine del regime fascista, il 25 luglio del 43, lasciò il nostro paese nella guerra civile. Gli italiani, finito di martoriarsi nel deserto dell'Africa o nelle steppe russe, o sotto i bombardamenti alleati, cominciarono a dilaniarsi tra di loro: agrari contro contadini, partigiani contro repubblichini, militari dell'esercito contro i tedeschi, in un continuo massacro, seguito da rappresaglie e vendette che insanguinarono l'Italia, in quantità diverse da regione a regione e tra nord e sud.
Dalla vallata dell'eccidio siciliano, scendiamo verso l'agriturismo che abbiamo prenotato, pochi chilometri più a valle. Solo dopo la prenotazione abbiamo saputo che era una tenuta confiscata una decina di anni fa alla mafia, e data in gestione ad una cooperativa. Quest'esperienza di alloggiare in locali un tempo di mafiosi non mi disturba affatto. Anzi ho chiesto al giovane che mi ha accolto alcune notizie sull'estensione del podere e cose simili. Prima di entrare al piano terra nella sala di accoglienza, ho notato che una parte del complesso edilizio é abbandonato: stanze e magazzini fatiscenti. Il giovanotto mi ha risposto che le autorità hanno concesso in gestione alla cooperativa solo una parte degli immobili, mentre l'altra parte é da decenni sub iudice.
Così, al turista conviene guardare la parte assegnata e restaurata, che é bella da vedere, e non volgere lo sguardo verso nord, per non vedere il degrado.
Gli dico che a Palermo, un magistrato, Carmela Saguto, é sotto processo proprio per la gestione dei beni confiscati ai mafiosi. Concordiamo, io e il giovane, che le autorità fanno le cose a metà, tanto da poter dire, in certe ricorrenze, "abbiamo fatto". Ma qua, sotto gli occhi , abbiamo l'evidenza che le cose sono state fatte a metà, per l'apparenza.
Proprio di oggi é la notizia, pubblicata da Live Sicilia, che la procura della Repubblica di Caltanissetta ha chiuso la prima tranche dello scandalo Saguto, concernente la gestione dei beni sequestrati alla mafia, e ha spedito l'avviso di conclusione alla magistrato stessa e alle altre diciannove persone finite sotto accusa. Un giro vorticoso di consulenze, nomine e soldi sporcato, secondo il procuratore Amedeo Bertone e il sostituto Cristina Lucchini, da favori, episodi di corruzione e una valanga di falsi.
Ecco spiegato perché la cooperativa che gestisce questo agriturismo, in cui stanotte alloggio, non ha ancora ottenuto il resto dei beni che farebbero riuscire meglio la loro impresa turistico - ricettiva.