La mafia puzza di becco. E' questo quello che mi viene da pensare, ancora una volta, scorrendo i nomi e le storie dei quattordici arrestati dell'operazione "Visir", quella che ha sgominato la cellula marsalese di Cosa nostra operativa tra Marsala e Petrosino. Parlo di "cellula" non a caso, e non di famiglia, perchè ormai, per stessa ammissione di investigatori e magistrati, l'esercito di Cosa nostra è ridotto a poca cosa. Matteo Messina Denaro scriveva qualche tempo fa a Bernardo Provenzano che a Marsala non aveva più uomini, che non gli erano rimaste le gambe delle sedie. E non siamo molto lontani da quella situazione, oggi.
La mafia puzza di becco. Di crasto. Di pecorume, di stallatico. Guardateli, gli arrestati dell'operazione di ieri, sono lo stereotipo del mafioso: gente di campagna, molti pastori, in molti con precedenti penali, stranoti alle forze dell'ordine. Chi ha un piccolo caseificio a Strasatti, chi ha compiuto omicidi per motivi passionali, chi si è fatto già i suoi anni di galera per mafia.
Si tratta di persone condannate ad essere mafiose, gente che non sa fare altro nella vita. E sono mafiosi perché sono legati alla terra, al calcestruzzo, alla "messa a posto", ai riti. Si ammazzano per chi deve fare il "capodecina", si partono per fare le riunioni con quelli di San Giuseppe Jato, cercano di capire gli ordini di Matteo Messina Denaro, se è vivo, se è lui che da ordini e non qualcuno per conto suo.
Poi ci sono i giovani. Alcuni degli arrestati di ieri sono davvero giovani. Chi è nato nel 1993, chi negli anni '80. Sono figli e nipoti di mafiosi, che fanno i mafiosi. Ciò smentisce un luogo comune molto diffuso: non è vero che i figli dei mafiosi oggi studiano nei migliori campus universitari. No, sono condannati ad essere mafiosi. Non studiano. Imparano presto non tanto a sparare, quanto l'arte della "sensalia", della mediazione, che è l'essenza del mafioso. Vengono sistemati nelle campagne o in qualche ditta di calcestruzzo. E sono condannati anche loro ad essere mafiosi. Rispetto a questo zoccolo duro, ogni corso di educazione alla legalità, nelle scuole, è inefficace.
Tutto questo lo scrivo per chiarire alcuni aspetti sull'operazione di ieri, e per smentire alcune notizie che sono state date, che non sono vere, perchè frutto di un approccio sensazionalistico al tema, che mira più a impressionare che a spiegare.
E dunque: la mafia esiste, certo, cerca di esistere. E' pericolosa. E' ridotta ai minimi termini. Lo Stato è efficace, soprattutto per colpire la parte più "rustica" e militare di Cosa nostra.
Non è vero che Matteo Messina Denaro nel 2015 è stato a Marsala. Che superficialità. Le indagini dicono altro. C'era un contrasto all'interno della cosca di Marsala, per chi dovesse fare il "capodecina", e allora qualcuno ha chiamato in causa il pastore Vito Gondola, il quale a fine 2014, ha portato un messaggio di Messina Denaro: che la finissero di litigare se no lui faceva una strage. E questo è tutto. E' "dalle nostre parti", riferito a Matteo, vuol dire tutto e niente. E' una cosa che sappiamo, non aggiunge un elemento in più. Neanche è una testimonianza di esistenza in vita del boss, dato che di scritto, di suo, non abbiamo nulla.
Quasi ridotta al nulla è questa mafia campagnola che è cresciuta, prosperata e infine caduta, disintegrata, dalle nostre parti. Se continua ad essere forte, nonostante sia malmessa, non è per la furbizia dei suoi componenti, o per le nuove leve. E' sempre per quella complicità colpevole di tutti coloro che non sono capaci di dire "No", e che, da sempre, sono la vera forza della mafia. A cominciare dagli imprenditori, che dalle nostre parti pagano senza fiatare la "messa a posto". Dai politici che qualche "zio" vanno sempre a cercare voti e promettere favori. E via dicendo. Anche da chi, purtroppo, dalle parti dell'antimafia mainstream ne alimenta il mito oltre misura per una rendita personale.
La mafia esiste, puzza di becco, è quasi arrivata al capolinea. Se manca l'ultimo miglio, è un po' colpa di tutti noi. Che dovremmo respingere ogni complicità, ogni lettura distorta, e cercare di fare luce, ad ogni livello della nostra responsabilità, su tutti i vari livelli di complicità (imprenditoriale, politica ma anche istituzionale) che hanno portato la mafia fuori dalla mafia. Abbandonando pastori e contadini al loro destino, e costruendo invece una nuova mafia, silenziosa, intelligentissima e scaltra che io chiamo Cosa Grigia e che fatichiamo a riconoscere, decifrare e lottare.
Giacomo Di Girolamo