di Leonardo Agate - Ci vorrebbe Alberto Sordi o il miglior Ugo Tognazzi, con adeguati sceneggiatori e registi, per interpretare le vicende politiche italiane. L’hanno fatto, da pari loro, ma in altri tempi. I tempi nuovi sono peggiori, e loro potrebbero farceli capire meglio, con il loro umorismo a volte drammatico.
Ho letto ieri sul Fatto Quotidiano un capitolo del libro di Marco Lillo, “Di padre in figlio” (Paper First), in uscita giovedì in edicola e in libreria. Il giornalista – scrittore racconta una telefonata avvenuta il 2 marzo, alle 9,45 di mattina, tra Matteo Renzi e suo padre Tiziano. La telefonata è intercettata dalla polizia giudiziaria nell’ambito dell’inchiesta Consip, nella quale il padre dell’ex presidente del Consiglio è indagato per traffico di influenze illecite con l’amico di famiglia Carlo Russo. Si tratta di una grossa inchiesta, partita dalla Procura di Napoli, poi passata per competenza a quella di Roma, riguardante un presunto caso di corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, in cui sono coinvolti a diverso titolo, oltre Tiziano Renzi e Carlo Russo, due generali dell’Arma dei Carabinieri e il ministro dello Sport Luca Lotti.
Nella telefonata al padre, Matteo Renzi lo rimprovera aspramente per i suoi comportamenti ambigui, non credendo alla sua estraneità ai fatti contestati dalla Procura. Lo invita a dire la verità. Gli rammenta che gli sta rovinando la carriera politica. Gli dà suggerimenti su cosa riferire ai magistrati: “…Non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje…Non dire di mamma, se no la interrogano…”
Ho letto stamattina il post di Matteo Renzi, segretario Pd, pubblicato sulla sua pagina di Facebook alle 9, 05 di ieri. Renzi risponde e fa osservazioni sull’articolo di ieri del Fatto Quotidiano. Dà la sua versione della telefonata, che non viene contestata nel contenuto, ma viene interpretata pro domo sua. Scrive Renzi: “ Nel merito queste intercettazioni ribadiscono la mia serietà visto che quando scoppia lo scandalo Consip chiamo mio padre per dirgli. “Babbo, questo non è un gioco, devi dire la verità, solo la verità”.
Osserviamo che non è vero che il figlio suggerisce al padre di dire “solo la verità”. Gli suggerisce pure di omettere qualcosa, come la presenza di sua madre, Laura Bovoli, a un ricevimento con alcuni imprenditori.
Continua Matteo Renzi, nel post, : Mio padre non ha mai visto un tribunale finché suo figlio non è diventato premier”.
Osserviamo che può darsi che suo padre non abbia mai visto un tribunale finché suo figlio non è diventato premier, ma occorre precisare che le indagini giudiziarie riguardanti suo padre non sono fatte perché suo figlio è diventato premier, ma perché avrebbe violato il codice penale.
Continua Renzi junior nel post: “ [Le intercettazioni pubblicate]… umanamente mi feriscono perché in quella telefonata sono stato molto duro con mio padre. E rileggendole mi dispiace, da figlio, da uomo. Da uomo delle istituzioni, però, non potevo fare diversamente.”
Osservo che, fino a ieri mattina, quando è stata pubblicata la storia dell’intercettazione telefonica del 2 marzo, Matteo Renzi, uomo delle istituzioni, ha sempre pubblicamente dipinto il padre come un onest’uomo, e le persone oneste non dicono bugie. Nella telefonata intercettata, invece, essendo lo stesso uomo delle istituzioni, accusa il padre di non aver detto la verità. Abbiamo allora un uomo delle istituzioni che, a seconda se parla in privato o parla in pubblico, esprime opinioni diametralmente opposte. C’ è da fidarsi di un simile uomo delle istituzioni?
Un’altra osa notevole la dice, il segretario del Pd, nel suo post, ed è questa: “Politicamente parlando le intercettazioni pubblicate mi fanno un regalo.”
Un’ultima nostra osservazione: è proprio sicuro che da quella telefonata ne esce bene?