Roberto Lagalla, ex Rettore dell’Università di Palermo, con il movimento “Idea Sicilia” sta incontrando i cittadini siciliani. Lei ha un’idea pazza, quella di candidarsi alla Presidenza della Regione Sicilia. Neanche al peggior nemico si può augurare di diventare sindaco delle citta italiane, fare il presidente della Regione è quasi da masochisti.
Io non ho la pretesa e la presunzione di fare il presidente della Regione, ritengo sia arrivato il momento di misurarsi, in un momento di straordinaria difficoltà e crisi della Sicilia, con le cose da proporre e da fare. Il giro è legato alla raccolta di informazioni, di dati, bisogni e proposte concrete, finalizzato alla creazione di un programma e di una piattaforma di idee da mettere a disposizione della politica anche per incontrare la politica sui contenuti e non sulle tattiche.
Professor Lagalla, la cosa straordinaria è che se si gira la Sicilia si accorge che la Sicilia esiste. I siciliani ci sono, hanno idee e voglia di fare, manca forse qualcosa, che dovrebbe essere la politica e che dovrebbe mettere insieme le migliori risorse di questo territorio.
Lei ha detto benissimo, la Sicilia c’è, è viva, aspira ad essere migliore, i siciliani hanno capacità straordinarie, con punte d’eccellenza, ma anche bisogni grandissimi espressi ed irrisolti, manca non solo la sintesi, ma la programmazione organica di un territorio così diverso, così composito e per certi versi così difficile, ma anche la possibilità che questo territorio con queste caratteristiche venga messo a sistema attraverso una razionalizzazione degli interventi e una efficacia delle azioni possibili.
La domanda che ci facciamo tutti, si può fare? Perché ci dicono sempre che in Sicilia non si può fare nulla.
Io rifiuto l’idea di quella maledizione biblica che in un passato abbia colpito e affossato la Sicilia negli inferi. Penso che la febbre di cui questa terra soffre da troppo tempo, possa conoscere una fase di defervescenza, cercare di tornare ad una normalità che caratterizza la vita civile e sociale di tanti altri luoghi di questa nostra Repubblica.
Lagalla, lei parla di normalità, Crocetta parlava di rivoluzione.
Guardi io temo sempre la rivoluzione, per un fatto storico, perché la rivoluzione normalmente porta ad una reazione che non sempre è guidata dalla ragione e dal sogno sostenibile. Mi piacerebbe parlare molto di più di riformismo, di una rivoluzione dolce, di un riformismo che per certi versi è molto più graduale, molto più progressivo, ma sicuramente molto più incisivo.
Si voterà a novembre, in realtà è tutto in divenire, perché c’è molta incertezza nel quadro politico nazionale, ma anche regionale e locale. Qual è la sua road map, non ha la sensazione che essere in campo da subito ci si possa bruciare anzitempo?
Non mi piace giocare di tattica, credo che nel momento in cui abbiamo iniziato ormai da un anno è venuta fuori la volontà della gente di accelerare un cambiamento, una discontinuità non tanto della politica ma del metodo della politica, di affermare una nuova cultura di governo, più vicina alla gente, basata su progetti e programmi che nascono dall’ascolto e soprattutto restituire credibilità reale alle nostre istituzioni che in questi ultimi anni oggettivamente non hanno fatto molto per mantenerla intatta e per recuperarne immagine complessiva.
Va di moda in questi giorni, da qualche settimana a questa parte, definirsi o cercare il nuovo Macron della politica italiana e regionale. Lei si ritiene il nuovo Macron, l’uomo delle stelle che in poco tempo mette su un progetto che ha la risoluzione dei problemi?
No, guardi, l’altro giorno, volendo fare una sorta di rappresentazione scenica in un contesto pubblico, ho letto un pezzo della stampa italiana che raccontava la storia di Macron, ma non l’ho detto fosse la storia di Macron, ho semplicemente detto quella storia come se fosse la nostra, e in realtà, con tutte le dovute differenze, le nostre storie coincidono. Coincidono in che cosa, nell’analisi di una società stanca, perché in una fase post-ideologica non crede più nella differenza artificiosa tra destra e sinistra e soprattutto in una società vogliosa di riprendere un percorso e un cammino comune basandosi sui programmi, sui progetti e sulle idee. Le porto due casi a sostegno di questa tesi. A Palermo, quinta città d’Italia i due principali candidati hanno fatto a gara per scrollarsi di dosso l’appartenenza politica e partitica. In Francia un movimento che si vuole collegare direttamente alla gente prende a Parigi quasi il 90% dei consensi. Ora noi non abbiamo l’ambizione, ma non crediamo anche per il nostro sistema elettorale siciliano, che il nostro movimento, la nostra idea di Sicilia possa aspirare a tali e miracolosi risultati, ma certamente siamo convinti che una forza nuova in un panorama siciliano certamente ingessato possa essere in condizioni di fare la differenza in termini di metodo e in termini di un nuovo approccio nei confronti della gente e nei confronti della politica.