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15/08/2017 06:00:00

Di Maio: "In Sicilia puntiamo a maggioranza assoluta". Alfano attende la migliore offerta

 "Chiediamo ai siciliani di darci la maggioranza assoluta per poter governare e cambiare completamente la Sicilia. Puntiamo ad avere la maggioranza assoluta. Se così non fosse, non essendoci la fiducia, andremo avanti sul nostro programma. Vediamo chi si sentirà di sostenerlo". Luigi Di Maio dalla Sicilia, dove è rimasto nonostante l'interruzione ferragostana della campagna elettorale con Alessandro Di Battista per la candidatura M5s a Governatire di Giancarlo Cancelleri, torna a ribadire che tanto alle elezioni regionali come alle successive politiche i pentastellati sono convinti di poter vincere e governare. Con o senza numeri di maggioranza solo per loro."Se dovessimo vincere le elezioni senza avere la maggioranza assoluta - dice Di Maio a Repubblica sulle elezioni politiche- presenteremo al capo dello Stato una chiara road map delle cose che vogliamo fare, subito. Da una legge vera contro la corruzione fino al taglio reale di tutti gli sprechi e i privilegi. Dopo di che vedremo da che parte stanno i partiti".Quanto alla squadra di governo M5s, "sarà il candidato premier - ribadisce- a sceglierla. Noi dialoghiamo con personalità del mondo accademico, scientifico ed economico, siamo cresciuti moltissimo".Di Maio, intanto, nega che la prossima corsa alla premiership M5s ne cristalizzerà le divisioni interne. "Il Movimento - ha detto- non ha correnti. Ci sono opinioni diverse, d'accordo, ed è normale che sia così. Lo prevede la nostra natura e lo considero un plus. Le regole per la scelta del candidato arriveranno a breve. Lì si saprà tutto. Chi vorrà potrà mettersi a disposizione e poi saranno gli iscritti a scegliere. La democrazia funziona così".Infine, quanto alla violazione della piattaforma Rousseau, "siamo al lavoro, saranno prese tutte le misure necessarie", senza timori di cause legali dagli iscritti. "Si fidano di noi", assicura Di Maio.

ALFANO. Non più solo "prova generale" per le Politiche, ma anche "spartiacque" per la legge elettorale. Il valore del voto siciliano del 5 novembre ha ormai abbondantemente superato i confini dell'isola, perché in questa fase di trattative ci sono sostanzialmente due schemi che si confrontano: da una parte un centrosinistra allargato fino ai moderati (il cosiddetto "modello Palermo" che ha portato all'elezione di Leoluca Orlando) e dall'altro la riunificazione del centrodestra ("modello Genova"). In mezzo, conteso dagli uni e dagli altri ma altrettanto vittima di veti incrociati (vedi Mdp e Fdi-Lega), c'è il partito di Angelino Alfano.

Ma parlare di coalizioni, soprattutto quando si esce dal confine regionale, vuol dire necessariamente parlare di legge elettorale. E in questi giorni agostani almeno due interviste hanno fatto fischiare le orecchie a Matteo Renzi: a sinistra quella di Andrea Orlando e a destra quella di Silvio Berlusconi. Il leader di Forza Italia, in un colloquio con 'Il Mattino', sostiene che "sarebbe gravissimo" se "gli appelli del Capo dello Stato a modificare la legge elettorale in vigore, una legge disomogenea e contraddittoria fra Camera e Senato, cadessero nel vuoto". La sua proposta è di ripartire dal modello tedesco su cui era stato raggiunto un accordo a tre con Pd e M5s, poi saltato a Montecitorio.

Ma il vero nodo politico, soprattutto all'interno dei dem, è quello del premio di coalizione. Attualmente il premio di maggioranza – restando in vigore il cosiddetto Consultellum - è previsto per la sola legge della Camera ma viene attribuito al partito, o alla lista, che riuscisse a raggiungere il 40% delle preferenze. Andrea Orlando invita invece Matteo Renzi a riaprire la discussione sul sistema di voto prevedendo quel premio di coalizione che consentirebbe di creare una maggioranza che vada da Pisapia ai moderati. "Se votiamo con questa legge – argomenta il ministro della Giustizia in un'intervista a 'La Stampa' - abbiamo l'altissima probabilità di non avere una maggioranza di governo. Il Paese sarebbe esposto a rischi di sistema", "occorre ridurre le distanze nel centrosinistra, discutendo di proposte comuni con le altre forze della sinistra e le forze più moderate". Parole che l'ala di Alternativa popolare che "tifa" per un'intesa con i dem ha considerato come acqua al proprio mulino. Ma una bocciatura arriva a sinistra con Federico Fornaro, di Articolo1. "Alleanze elettorali alle prossime politiche che andassero da Alfano a Mdp, come propongono Andrea Orlando e altri del Pd – dice - sarebbero uno straordinario regalo al Movimento 5 Stelle".

Dalle parti dei renziani l'idea del premio alla coalizione non è particolarmente gradita: il segretario Pd sa che a spingere per questa soluzione, oltre a Orlando, è anche Dario Franceschini. Ma il suo timore è che alla fine il candidato premier di una siffatta alleanza potrebbe non essere lui. E di possibili rivali ormai ne vede ovunque, soprattutto nel governo, a cominciare dallo stesso Gentiloni e poi Minniti, Calenda e persino Delrio. La posizione di Renzi è che non si può cambiare la legge elettorale "contro gli altri partiti" e dunque senza che vi sia l'accordo di Forza Italia e M5s. I pentastellati, però, di premio di coalizione non ne vogliono neanche sentir parlare. "La nostra forza è andare soli, proveranno a fare una legge elettorale contro di noi", accusa Alessandro Di Battista. Ufficialmente alla Camera i giochi si riapriranno il 6 settembre, quando tornerà a riunirsi la commissione Affari costituzionali. Ma c'è chi giura che Renzi non muoverà foglia fino a quando non si saranno svolte le elezioni in Sicilia.

Ed ecco che torna evidente il collegamento tra voto regionale e voto nazionale. L'obiettivo del segretario dem per le elezioni del 5 novembre, pur continuando a ribadire che è soltanto un test locale, è almeno di non arrivare terzo anche per non dare benzina agli oppositori interni. E per questo non passa giorno che i suoi "emissari" Delrio e Guerini, non parlino con gli uomini del ministro degli Esteri – Giuseppe Castiglione e Dore Misuraca - per chiudere l'accordo per palazzo dei Normanni. Dentro Alternativa popolare, tuttavia, c'è un 'partito del Nord' capitanato da Maurizio Lupi che minaccia scissioni in caso di accordi con il Pd. E questo perché il raggiungimento di un'eventuale intesa in Sicilia si porterebbe dietro anche un accordo per le prossime Politiche.

Alfano si è preso ancora qualche giorno per scogliere la riserva, una evoluzione è attesa dopo la settimana di ferragosto. Al momento un'intesa con il Pd sembrerebbe ancora l'ipotesi più probabile. Anche perché sui ragionamenti del ministro degli Esteri rispetto a un ritorno alla casa madre del centrodestra pesa un fattore molto umano e personale: non si fida di Silvio Berlusconi, nonostante la cordiale telefonata di una settimana fa. E non si fida soprattutto del fatto che l'accordo regga poi a livello nazionale.

Il leader di Forza Italia, tuttavia, dalle pagine del 'Mattino' prova ancora a rilanciare la necessità di una unione del centrodestra. "Faccio un appello – dice - che mi pare essenziale. Pensiamo al bene della Sicilia e al futuro dei siciliani. Il teatrino della politica, le tattiche, le schermaglie vengono molto dopo. Come diceva De Gaulle,'l'intendance suit'. Io per la Sicilia ho un sogno: che si componga un centrodestra coerente e inclusivo". Ma a gelare il canale di comunicazione aperto pubblicamente da Berlusconi ci pensa la leader di Fdi, Giorgia Meloni. "Sono d'accordo – replica - sul fatto che occorra costruire un centrodestra capace di rappresentare lo scontento e il cambiamento. Ma considero impossibile farlo insieme a chi governa la Sicilia insieme a Crocetta e l'Italia insieme a Renzi. Per come la vedo io, è questo il teatrino della politica che nausea gli elettori".