Il 24 novembre scorso, giovedì, al Complesso San Pietro è stato presentato il libro su Don Andrea Parrinello, che fu un operatore calcistico marsalese nel dopoguerra fino agli anni ’70. Secondo i vari intervenuti al tavolo degli oratori, molti furono i giovani che sotto la sua direzione intrapresero lo sport, e molti furono i meriti di Don Andrea che li seguiva con attenzioni paterne, e con risultati vittoriosi sui campi di calcio che frequentò la sua squadra “Olimpia”.
La sala delle conferenze era quasi piena, per la presenta dei diretti interessati, ora anziani, e dei loro parenti.
Non fui tra coloro che frequentarono Don Andrea, ma ne avevo conoscenza indiretta vivendo in città fino alla fine del ’67. Ricordo che la notorietà di quell’allenatore era notevole.
Il presentatore del libro ha riavviato il discorso dell’opportunità di intitolare una via o una piazza a Don Andrea. Dico “ha riavviato”, perché un paio di anni fa la proposta è stata avanzata alla Commissione Toponomastica del Comune, che in un primo tempo sembrò essere favorevole all’intitolazione; poi, in seguito a osservazioni, anche giornalistiche, sulla vita privata dell’onorando, la Commissione face marcia indietro. O fu il sindaco a fargliela fare. Non si sa bene; l’amministrazione comunale potrebbe comunicare come e perché l’iter della pratica si arenò.
L’intenzione di chi vorrebbe intitolargli un luogo non è però scemata, tanto vero che ieri sera è stata riproposta, e il sindaco è stato invitato ad agevolarla.
Tornando a casa dopo la presentazione del libro, mi facevo un paio di domande, che sono pressappoco queste:
1. Se è vero che Don Andrea è stato un faro nella desolazione sportiva di quel tempo in città, non c’è motivo di non intitolargli una via;
2. Se correvano anche dicerie maligne sulla sua vita privata, che potrebbero essere anche comuni pettegolezzi, non se ne parli più di fronte ai meriti pubblici del personaggio.
Tuttavia, il problema della toponomastica marsalese non si limita al realizzando ricordo di Don Andrea. Una dimenticanza più grave aleggia per le vie della città, e riguarda un altro Don, stavolta ecclesiastico e non sportivo: Don Antonino Lombardo, marsalese, prete diventato vescovo di Mazara, poi di Agrigento e infine arcivescovo di Messina. Per la sua cultura, intelligenza e diplomazia fu incaricato di recarsi alla Corte di Spagna per riottenere quelle esenzioni da tasse regie che il Viceré aveva abolite, mentre le città della Val di Mazara versavano in misere condizioni economiche. Riuscì nella non facile impresa, entrando nelle grazie della regina, Maria I Tudor, moglie di Filippo II di Spagna.
Questo illustre marsalese donò con atto notarile gli otto arazzi fiamminghi, di inestimabile valore, che si possono ammirare nelle sale adiacenti alla Chiesa Madre, dopo che l’arciprete Andrea Linares li fece restaurare a Firenze. Donò anche alla nostra comunità ecclesiale molti preziosi arredi sacri. Versò 130 onze ai Gesuiti per l’istituzione di uno Studentato nel Convento che dà sulla piazza Sutera, costruito anche a sue spese.
Le spoglie mortali dell’arcivescovo Monsignor Antonino Lombardo furono traslate nella Matrice di Marsala nel 1596. Da oltre quattro secoli i marsalesi si sono dimenticati di lui e del suo amore per la città che gli diede i natali. Nessuna via o piazza gli sono stati intitolate. Che si intitoli qualcosa a Don Andrea Parrinello può andare bene, ma si conceda prima un’adeguata intitolazione all’alto prelato marsalese ingiustamente dimenticato.