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01/12/2017 04:30:00

Fake news, falsità e democrazia

 di Leonardo Agate - “Fake news” vuol dire, tradotto dall’inglese in italiano, notizia falsa. Se di tutte le fake news che vengono giornalmente scritte sui giornali o sentite alla televisione o mandate nell’etere tramite Internet, si dicesse che sono bufale o balle, ci capiremmo meglio, almeno noi italiani, che siamo la maggioranza, che non conosciamo l’inglese. Ma dire: fake news invece che falsità o balla fa più “figo”, e dà l’impressione che chi usa la locuzione straniera ne sappia più di coloro che non conoscono quella lingua.

Non è che tutti quelli che discorrono di fake news fanno riferimento al contenuto della notizia o abbiano realmente accertata la sua falsità. No, semplicemente è di moda parlare anglitaliese. Per i politici è anche utile, perché riescono a confondere meglio le loro banalità, creando maggior confusione. Così, i politici, in queste ultime settimane, per tutelarsi dalla balle che vengono dette su di loro, dimenticando le balle che loro stessi dicono sugli avversari, si stanno dedicando con lena a una proposta legislativa di regolamentazione delle notizie, che dovrebbero diventare, dopo l’approvazione della legge allo studio, garantite nella veridicità. Un tavolo di lavoro è stato impiantato all’ultima Leopolda.
Di pari passo con l’intrapresa lotta alle balle dei mezzi di comunicazione di massa, si lavora ormai da tempo a una nuova regolamentazione del diritto di cronaca, artefice stavolta Andrea Orlando, ministro della Giustizia. La nuova regolamentazione dovrebbe privare i cittadini di certe notizie, che facendo parte del bagaglio infinito dei procedimenti penali in corso, dovrebbero restare segrete, finché la magistratura non si pronunci sulla loro attendibilità e sull’importanza che possono avere negli instaurandi processi. La nuova regolamentazione tende a punire con pene più severe i divulgatori di notizie coperte da segreto istruttorio.
L’avvio della proposta di riforma della libertà di cronaca risale a un fatto concreto, che ha riguardato il segretario del Pd, Matteo Renzi, e suo padre, Tiziano. Questi due si sino sentiti a telefono il 2 marzo 2017 alle 9,45, e hanno parlato segretamente dei possibili incontri di Tiziano con l’imprenditore Alfredo Romeo, finito in carcere il 1° marzo scorso, tornato in libertà il 16 agosto e poi ritornato in carcere per altri fatti poche settimane fa.
Secondo molti, politici e giuristi, quella telefonata privata non avrebbe dovuto essere divulgata perché non avrebbe rilievo penale. Io ne ho letto la trascrizione, e non so se avrà rilevanza penale nei processi Consip in itinere, ma penso che abbia una grande importanza cronachistica perché si evince uno spaccato familiare che la dice lunga sulla distanza siderale delle pubbliche dichiarazioni degli interessati e le affermazioni che gli stessi fanno quando, parlando al telefono, pensano di non essere ascoltati da estranei.
La proposta, tendente ad evitare che l’opinione pubblica sia informata anche della vita privata dei politici di primo piano, si incentra sull’opera di selezione che gli ascoltatori delle telefonate segrete – la polizia giudiziaria – dovrebbe fare nel trascriverle, prima di mandarle ai magistrati. La polizia giudiziaria dovrebbe stabilire quali informazioni trasmettere al magistrato e quali no, apprezzandone anticipatamente il carattere più o meno rilevante per le indagini in corso. Se la proposta diventasse legge, si verificherebbe che la polizia giudiziaria sarebbe arbitra di espungere dalle registrazione segrete quelle frasi e quegli elementi che secondo la cultura, l’umore e la tendenza politica del verbalizzante non siano utili agli instaurandi processi. Si verrebbe a creare un filtro alle notizie di reati, che costringerebbe i magistrati a seguire le indicazioni della polizia giudiziaria, mentre dovrebbero essere i magistrati, in uno stato di diritto, a dirigere l’attività della polizia giudiziaria.
La democrazia è in pericolo non quando può andare al governo un partito invece che un altro, ma quando le notizie di reato debbono essere filtrate dalla polizia giudiziaria prima di essere trasmesse ai magistrati e quando le informazioni da trasmettere all’opinione pubblica devono passare attraverso le censure di chi detiene il potere.