«Angelo aveva raccolto tutto quello che gli era stato possibile e l’aveva suddiviso in otto grandi casse di legno e tre valigie, che aveva poi spedito con un cargo aereo. Tra indumenti, tappeti, biancheria, lenzuola, tovaglie, coperte, servizi di piatti, da tè e da caffè, pentole pirex, cartelle di scuola, attrezzi da cucina, soprammobili, radio e mangiadischi, c’erano due poltrone di cuoio “tripoline” che, insieme a un tavolino con intarsi di legno ed avorio, erano gli unici mobili che era riuscito a spedire». Tutto ciò che restava di una grande tenuta agricola.È passato quasi mezzo secolo ma mette malinconia leggere la struggente nostalgia della Libia rimasta attaccata alla pelle di chi nel 1970 fu cacciato da Muammar Gheddafi. Il libro Il ricordo che se ne ha (edizioni Margana), titolo tratto da una citazione del poeta Charles Wright, è pieno di tenerezza, amore, rimpianti.
Mariza D’Anna, oggi giornalista e scrittrice, fu buttata fuori dal Rais con altri 20mila italiani quando era una bambina ma della «sua» Biar Miggi, a ottanta chilometri a sud di Tripoli, grazie anche alle memorie coltivate in famiglia, ricorda tutto. Certo, sa bene degli errori spaventosi commessi dall’occupazione italiana, in particolare negli anni del fascismo, di Badoglio, di Graziani. E non nasconde nulla. Un conto fu il brutale colonialismo fascista, però, un altro i nostri coloni. E quella di Mariza è la storia di una famiglia siciliana che con l’aiuto di tanti contadini e operai italiani, lavorando sodo terre non generose, riuscì a mettere insieme una fiorente azienda di 1.319 ettari. Della quale oggi, come mostrano recenti foto fatte di nascosto da Tonino, il figlio del fattore veneto che mandava avanti la tenuta, non resta nulla: «Mi ha profondamente rattristato, fino alle lacrime, vedere tutta quella desolazione. Non esiste più alcuna traccia di vita e si percepisce la sensazione di aggirarsi in un sito archeologico, dove solo la storia è in grado di fare menzione d’una vita passata e di una remota esistenza». È tornato il deserto, lì dove grazie anche «alla direzione di valenti agronomi arrivati dalla Sicilia», il bisnonno Francesco, «aveva fatto impiantare distese di olivi, vigne, alberi di mandorle e pistacchi, in quell’oasi strappata al deserto che presto era diventata un’oasi dell’anima». Non è mai riuscita a tornarci, Mariza. E forse non è un caso se, dopo l’esilio dalla sua Biar Miggi e il nuovo inizio a Genova, abbia scelto di vivere a Trapani. Dove, se si leva il vento caldo dall’Africa, può sentirsi un po’ a casa…
Gian Antonio Stella, Il Corriere della Sera