di Leonardo Agate - Il 22 dicembre 1947, settanta anni fa, l’Assemblea Costituente approvò la Costituzione della Repubblica Italiana con 453 voti favorevoli e 62 contrari, a larghissima maggioranza.
Il progetto costituzionale era stato presentato all’Assemblea Costituente nel febbraio del 1947. In dieci mesi di intenso lavoro, si arrivò al testo definitivo approvato.
Entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Fu detta “la più bella Costituzione del mondo”, e lo era, anche se illustri giuristi dichiararono che in seguito avrebbe dovuto essere modificata nella parte riguardante i poteri del Parlamento e quelli del Governo.
Alla fine degli anni ’40, era troppo recente il disastro del governo dittatoriale del Fascismo, e fu giocoforza far prevalere il potere legislativo a danno di quello esecutivo. Con il passare dei decenni il parlamentarismo esasperato rese difficile governare.
Gli intellettuali, i giuristi e i politici della tempra degli anni ’40 non c’erano più quando la previsione di dover modificare la Costituzione divenne opera necessaria, e non fu più fatta. Furono invece apportate al testo costituzionale, a cavallo tra la fine del secolo scorso e gli inizi dell’attuale, le modifiche, un po’ confusionarie, sul federalismo e sulle autonomie locali. Restò invariato l’impianto relativo al potere legislativo e a quello esecutivo.
Ogni volta che qualcosa di grosso nella società è andata male, nei settanta anni dall’approvazione della Costituzione della Repubblica, essa fu invocata e tirata da una parte e dall’altra per sostenere le opposte posizioni politiche. Divenne una carta elastica che giustificò operazioni politico – sindacali sostanzialmente incostituzionali, eppure nominalmente d’osservanza.
Due articoli della Costituzione sono stati traditi:
1. L’art. 39, che prescrive che le organizzazioni sindacali hanno l’obbligo di registrarsi secondo le norme stabilite dalla legge, a condizione che sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Anche quest’articolo è stato approvato dalle sinistre. Ma i sindacati, spalleggiati dagli stessi partiti che approvarono l’articolo, si sono sempre opposti all’emanazione della legge che consentisse la registrazione. Certamente temevano che la loro organizzazione interna non fosse riconosciuta democratica, come in effetti non è. La prescrizione costituzionale è rimasta lettera morta, e le conseguenze le abbiamo viste nei periodi di sindacalismo esasperato, che ha impedito al Paese di crescere.
2. L’art. 49, brevissimo, di un solo comma, che afferma : “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. I partiti, invece, divennero un vero e proprio potere autonomo, che prevalse rispetto ai classici poteri statali, quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. I partiti divennero sempre in misura maggiore il deus ex machina di ogni operazione statale, soffocando lo Stato. La differenza tra il PNF e i vari partiti repubblicani è solo nel fatto che durante il Ventennio lo Stato ad un certo punto fagocitò il Partito, divenendo Stato – Partito; durante la Repubblica i vari partiti, tutti assieme, si sono spartiti lo Stato, lottizzando pure il sottogoverno, impedendo di fatto il corretto funzionamento dei meccanismi costituzionali.
Soprattutto per questo, la più bella Costituzione del mondo non ha dato al Paese quelle realizzazioni che avrebbe altrimenti consentito.