Forse già a febbraio dovrebbero avere inizio le demolizioni delle prime 85 case abusive di Triscina (83 a voler essere precisi, visto che in un caso si tratta di due verande ed in un altro di un magazzino costruito a Castelvetrano), con un costo di tre milioni di euro.
Quelle accertate come “non sanabili” perché costruite a meno di 150 metri dalla battigia dove, dal 1976, vige il vincolo di in edificabilità assoluta, sarebbero 170, ma il numero è destinato ad aumentare.
L’attenzione dei media, anche oltre lo stretto, è massima per più di un motivo.
Si tratta della patria di Matteo Messina Denaro, ancora latitante e forte di un consenso di una parte della cittadinanza, certificato dai continui arresti di decine e decine di fiancheggiatori nel corso degli ultimi anni. Qualsiasi cosa succeda in questo territorio non può quindi essere raccontata altrove, senza ricordare alla collettività il perdurare di una latitanza così singolare.
Ovvio che non ci sia nessun legame tra Messina Denaro e lo storico abusivismo di Triscina che, più che di una speculazione edilizia (nei fatti inesistente) è forse figlia dell’ignoranza e della subcultura che hanno alimentato per anni il sogno della casa al mare alla portata di tutti (o quasi).
E’ chiaro poi che un fenomeno così vasto ha una probabilità molto alta di trovare delle case nella disponibilità della criminalità organizzata, o seconde case di fiancheggiatori e parenti del boss.
Un altro motivo dell’attenzione per le case di Triscina è legato anche al fatto che si tratta di una borgata nata interamente abusiva: più di seimila case, edificate tutte fuorilegge. Ecco perché non ha molto senso chiedersi perché non si parli degli altri comuni siciliani o dell’abusivismo di costa diffuso anche al nord. Così come non ha molto senso dire che le cose sono cambiate rispetto al passato, perché oggi le case abusive sono molte di meno. Il motivo per cui sono di meno non è infatti legato al loro abbattimento, ma alle sanatorie. Insomma, quello che Gian Antonio Stella nel 2003 aveva chiamato “lido degli abusi”, si è trasformato nel lido dei condoni. Ma sono rimaste fuori regola le case nei 150 metri dalla battigia.
O meglio, quelle costruite dopo il 1976. Ed anche questo particolare è da tempo oggetto di ulteriori polemiche, visto che il vincolo dell’inedificabilità assoluta è relativo alla legge 78 del 1976.
In tanti hanno reputato ingiusto che, a parità di distanza dalla battigia, le case edificate dopo quella data debbano essere abbattute e le altre, tirate su prima del ’76, possano rimanere in piedi.
Peccato che la legge parli chiaro (e parlava chiaro anche nel ’76): da quella data non sarebbe stato possibile costruire entro i 150 metri.
E la “preoccupazione” che le demolizioni non potranno restituire identità alle coste, non può che apparire strumentale. Soprattutto se si tratta di un amore per l’ambiente avanzato dagli stessi abusivi o da chi ha interesse a trarre consenso dalla categoria.
Saranno a “macchia di leopardo” si è spesso detto. Ma è difficile avere un quadro esatto della costa di Triscina, una volta completati gli abbattimenti di tutte le case abusive entro i 150 metri dalla battigia (non solo di queste 170, di cui una cinquantina già “certificate”), perché è difficile anche avere contezza precisa delle case costruite prima del ’76. Il fatto di non avere dei numeri certi, al momento ci impedisce di sapere quante macchie potrebbe avere questo leopardo.
Contemporaneamente, non bisogna dimenticare il puntuale aumento degli immobili a Triscina, subito dopo i condoni del 1985 o del 1994. Occasioni in cui, più che sanare l’esistente, si è pensato a costruire nuove case “perché tanto c’è il condono”.
Ma le “colpe” non sono soltanto di chi ha costruito senza averne titolo. Per decenni, infatti, politici ed autorità hanno lasciato fare, se non addirittura incoraggiato. Ed oggi, gli abusivi (che in larga parte costituiscono l’anello debole) fanno i conti con quelle “autorizzazioni” fantasma fatte di strette di mano e di “non ti preoccupare che tanto poi ci sarà la sanatoria”, vittime di un boom edilizio che poggiava sull’illegalità più profonda.
Da anni la politica cerca di salvare le case. Ci hanno provato in tanti, tra i deputati dell’assemblea regionale siciliana in provincia di Trapani, da Paolo Ruggirello a Girolamo Fazio, passando per il castelvetranese Giovanni Lo Sciuto. Quest’ultimo, pochi anni fa aveva tentato (senza successo) di cambiare le cose con una proposta di legge dal titolo promettente “Salvaguardia delle coste”, in cui da un lato proponeva l’allungamento della fascia di inedificabilità a 300 metri, ma dall’altro consentiva il “recupero dell’esistente” non demolendo nemmeno un muretto.
Anche Gianni Pompeo (sindaco di Castelvetrano fino al 2012), in passato, aveva parlato della STU (Società di Trasformazione Urbana), ovvero dei piani di recupero volti a trasformare le case da abbattere in strutture alberghiere e di servizi, magari con l’aiuto degli stessi proprietari che hanno, come disse Pompeo, “il privilegio di avere le case a pochi metri dal mare”.
Oggi, qualcuno attende nuovi fondi regionali per la protezione delle zone costiere, con cui installare delle barriere per proteggere la spiaggia dall’erosione, in modo da distanziare la battigia e fare in modo che le case da abbattere diventino in regola.
Poi c’è la polemica sul perché spendere tre milioni di euro per abbattere le case, quando la città è funestata da altri problemi sicuramente più prioritari.
In realtà il costo delle demolizioni (e del relativo smaltimento dei detriti) è a carico dei proprietari. Il finanziamento serve solo se i proprietari non provvederanno a loro spese ed il Comune si rivarrà su di loro. Inoltre si tratta in massima parte di immobili abusivi che hanno attraversato i tre gradi di giudizio, il cui ricorso sull’abbattimento è stato respinto in Cassazione.
Insomma, sono soldi che si possono usare solo per questo.
Si dirà, ma perché i commissari straordinari hanno scelto di occuparsi di questa vicenda, se finora nessun sindaco aveva dato corso alle demolizioni?
I commissari hanno applicato la legge, in un ambito che era stato oggetto di attenzione nella relazione ministeriale di scioglimento del comune, nella quale si legge che “A Triscina la pianificazione approvata dalla precedente amministrazione (Pompeo, ndr), della quale il sindaco (Errante, ndr) era assessore allo Sviluppo economico, non ha previsto alcun piano attuativo di recupero con il conseguente rilascio indiscriminato di numerose concessioni edilizie, sulla base di un semplice parere legale, in assenza di alcuna verifica degli standard urbanistici”.
In sostanza sarebbe stata una contraddizione in termini quantomeno inopportuna se la commissione straordinaria avesse adottato la stessa inerzia delle precedenti amministrazioni.
Un’inerzia che, formalmente, avrà avuto tutte le ragioni di questo mondo, da un’azione amministrativa e burocratica ancora in preparazione, al fatto che non c’erano i soldi da anticipare. Ma che, come è facile intuire anche guardando agli altri comuni della Sicilia (a parte Licata), non può che essere legata ad una strategica melina in modo da non perdere consenso elettorale: un conto è abbattere la casa abusiva di 6 cittadini, un altro mettersi contro un esercito di 170 persone (destinate per altro ad aumentare).
Nei prossimi giorni comunque, il comitato dei proprietari che da anni si oppone alle ruspe dovrebbe riunirsi per decidere nuove strategie di lotta. Intanto per i primi otto immobili è già pronta l’ordinanza di demolizione e si aspetta che un’impresa vinca il bando e cominci il lavoro. Cosa certamente non facile in un contesto dove, oltre alle formali assicurazioni distribuite con tanta leggerezza in passato, ci sono persone che vedrebbero andare in pezzi ciò che hanno comunque realizzato con tanto sacrificio.
Spesso è stato detto: la colpa è di chi ci ha lasciato costruire, dicendoci di non preoccuparci, perché si sarebbe sistemato tutto. Dato che invece non si è sistemato un bel niente e ormai (ammesso che ce ne fosse la volontà e le condizioni) i proprietari nulla possono più fare nei confronti di coloro che avevano dispensato ottimistiche assicurazioni, ciò che rimane è la distinzione tra il diritto ed il favore. In questo caso, il favore era a scadenza.
Egidio Morici