di Leonardo Agate - In quello spartiacque tra passato e futuro, che furono i decenni successivi all’ultima Guerra, essendo mutati i costumi, con l’avvento dei nuovi ricchi, il figlio del conte ***, conte pure lui, sposò una piacente figlia di un facoltoso commerciante.
La moglie del giovane conte era allegra, dalla risata squillante e accattivante. Splendeva nelle feste da ballo al Circolo per quel suo ancheggiare in mezzo alla sala, che attirava gli sguardi interessati della parte maschile e l’invidia di quella parte femminile blasonata ma non altrettanto fisicamente dotata. Il prof. Giangiacomo Pizzone, insegnante per opportunità e fimminaru per passione, notava come tutti gli altri la spumeggiante signora, e pensava a come poterla mettere nel carniere.
Era difficile per lui trovare il modo di avvicinarla in una amichevole e riservata conversazione. Una certa differenza di classe sociale gli impediva una rapida manovra. Per settimane, il prof. Pizzone, nelle pause dell’occupazione giornaliera al tavolo verde della sala dei giocatori, si sforzava di pensare al modo di poter avvicinare la signora. I suoi rapporti con la famiglia del conte non andavano al di là di una rispettosa conoscenza. L’occasione si presentò all’annuale festa da ballo di Carnevale. Le sale erano piene dei soci con le consorti, e con i figli e figlie in età di entrare nella società. I coriandoli venivano da questo o quello buttati in aria e ricadevano sui vestiti scuri degli uomini e sulle vesti variopinte delle dame. Per un caso della sorte, il prof. e la moglie del conte si trovarono in un angolo della sala, vicini allo specchio della consolle Impero, guardandosi tutti e due nello specchio, sorridendo alle loro reciproche immagini ricoperte di coriandoli.
Nello sguardo che si incrociarono attraverso lo specchio, sorse il riso sui volti di entrambi. “Come siamo più belli con i coriandoli addosso!” proferì il prof. “Lei ancora di più!” fece la signora immediatamente. Insomma, iniziò un breve dialogo che permise ai due, quando si incontravano per le vie, di fermarsi per i convenevoli. Con le chiacchiere, si scambiarono il numero del telefono. Nelle successive telefonate, combinarono un appuntamento. Il giovane conte era un onesto redditiere, e giornalmente, tranne la domenica, partiva la mattina per il feudo, tornando la sera che era già buio. Era meticoloso negli orari, come un lavoratore alle dipendenze altrui; tentava di tenere su una proprietà terriera che le leggi sullo spezzettamento del latifondo minacciavano, e poi distrussero. A casa restava la moglie in un’ala dell’edificio, e nell’altra ala risiedeva il conte padre, ormai anziano e vedovo. Era lui che dirigeva la casa, provvedendo la mattina a fare la spesa, e dando disposizioni di lavoro alla cameriera.
Un pomeriggio il prof. andò a trovare, come già precedentemente era avvenuto, la signora divenuta amante. Tutto procedeva bene al solito, nell’ala della casa di sua pertinenza. Prima di farsi l’ora canonica del rientro del marito, il prof. sarebbe andato via. L’intoppo nel collaudato meccanismo avvenne per colpa del destino, in questo caso un temporale pomeridiano con tuoni e lampi e scrosci di pioggia violenta. Per questo motivo, il vecchio conte diede disposizioni alla fantesca di chiudere tutte le persiane di tutte le stanze, in tutto il palazzotto. Era già l’ora che il meglio era passato sul letto con il baldacchino; la signora indugiava stanca e soddisfatta; il prof. era passato in bagno per una rinfrescatina, prima di rivestirsi e andare via. Quando la cameriera bussò alla porta della camera da letto, la signora non rispose; la cameriera, pensando che fosse uscita, entrò per chiudere le persiane del finestrone, nel preciso momento in cui il prof. in mutande usciva dal bagno. La cameriera restò interdetta e spaurita, nemmeno riuscì a emettere il grido di stupore che di solito esce dalla bocca in casi simili. Il prof., spaventato più della cameriera, senza pensare che era senza pantaloni, scappò come un falchetto, uscendo sulla via e correndo verso casa sua. La pioggia che cadeva a catinelle non teneva molti marsalesi fuori, ma alcuni videro la scena, e immaginarono l’antefatto, conoscendo il tipo.
L’avventura tra la signora e il conte continuò per qualche anno. I soci del Circolo se la raccontavano in gruppetti riservati. Gli unici a non sapere niente restarono il giovane conte e il vecchio padre. La cameriera fu tacitata con un bel regalo, e poi con periodiche elargizioni.