di Leonardo Agate - Ufficiosamente si sa che il presidente della Repubblica è orientato a scegliere il nuovo presidente del Consiglio in una rosa di nomi tra i più affidabili nell’interesse della Patria.
Dato l’esito delle elezioni politiche, che non assicurano la governabilità a nessuna forza politica, nell’Alto Colle sta prevalendo il pragmatismo necessario a risolvere l’intreccio. E’ stato valutato che un incarico a Di Maio, il capo del partito che ha ottenuto il maggior numero di voti, urta contro l’evidenza che la coalizione di centro – destra, consentita dalla legge elettorale, ha un numero di suffragi superiore. Sia nell’un senso che nell’altro, la governabilità non sarebbe assicurata, mancando all’una o all’altra parte la maggioranza dei parlamentari nell’una e nell’altra Camera. Quindi si dovrebbero accettare nuove alleanze in difformità a quelle votate dagli elettori. Ciò contrasta con la coerenza che sempre ha distinto le manovre parlamentari.
Parlare nel nostro Paese di cambi di casacca, o di compravendita di deputati e senatori per raggiungere la maggioranza parlamentare, è cosa fuori luogo, data la tradizionale coerenza dei nostri rappresentanti. Sembra , quindi, più opportuno coinvolgere le personalità di più alto profilo, che possano raccogliere il consenso del M5S, del centro- desta e del centro – sinistra. Per quanto riguarda le altre minori coalizioni , non c’è da preoccuparsi. Per esempio, LeU si è squagliata da sola, assieme al grasso del suo capo, ancora per pochi giorni presidente del Senato.
La rosa di nomi all’attenzione del presidente Mattarella ha molti petali, ma sembra che i favori dei suoi consiglieri si convoglino verso un nome noto: Cetto Laqualunque. Costui non ha finora avuto una carriera politica; è, da questo punto di vista, un uomo nuovo. Voci non confermate, tuttavia, fanno pensare che, per il bene del Paese, accetterebbe l’incarico.
Le prime trattative del Quirinale con lui fanno ben sperare, anche perché il desiderio di Laqualunque è di poter degnamente concludere la sua carriera cinematografica, che ha avuto tanto successo, mettendo le sue arti a servizio della nazione. Nel giro dei suoi più stretti amici, si vocifera di una lista di ministri di tutto rispetto da presentare al presidente della Repubblica. Agli Esteri metterebbe Pinco Pallone, grosso industriale del settore ferramenta e armi, che ha fatturato nell’ultimo anno 1.300 miliardi di euro vendendo spranghe di ferro e carri armati alla Siria e ad altri Paesi asiatici e africani. Alla Giustizia, invece, andrebbe Filippo Barrone, che avendo scontato 10 anni all’Ucciardone, e avendo avuto conoscenza diretta delle anomalie della giustizia e delle pessime condizioni delle carceri, potrà progettare un cantiere di riforme con la massima competenza. Alla Pubblica Istruzione e Università andrebbe Tonino Abbecedario. Il fatto che il suo curriculo presenta solo il diploma di scuola media è ininfluente. Tutti sanno che ogni tanto compra il giornale e negli ultimi due anni ha comprato pure un libro.
I dubbi più dirimenti sono stati quando si è trattato di individuare il nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze. Si tratta di uno dei più importanti e disastrati dicasteri. La serietà del designando deve essere a tutta prova, oltre che la sua competenza. Dopo ricerche, anche nella Rete, la scelta è caduta su un maturo ragioniere di Ferrara, certo Remigio Finocchietti, che, con uno stipendio mensile di 1.900 euro, senza indebitarsi è riuscito a mantenere sé stesso, la moglie, la suocera e l’amante. Insomma, sa come si fa di conto. Poi, il designando è andato anche ad ascoltare, un paio di anni fa, per alcuni giorni consecutivi le lezioni di economia che Mario Monti teneva alla Luiss.
Queste notizie, se venissero confermate, aprirebbero un radioso avvenire a questo martoriato Paese. Grazie a Dio, tutto si potrà realizzare con la benedizione del Papa, che, anche se non italiano, per la collocazione geografica del suo Stato, vuole molto bene all’Italia.