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16/07/2018 06:00:00

Natura e petrolchimici in Sicilia. Quando volevano realizzare la raffineria a Castelluzzo

La piana di Castelluzzo, Monte Cofano, la spiaggetta con la tonnara e a due passi la spiaggia del Bue Marino, eletta nel 2016 la più bella d’Italia. Insomma, uno dei luoghi tra i più belli, suggestivi e incontaminati, non solo della Sicilia ma dell’Italia intera.

Un luogo di straordinaria bellezza che ha rischiato di non essere più tale, quando agli inizi degli anni ’70 nella fase massima di sviluppo dell'industria petrolchimica, l'ISAB, l’Industria Siciliana Asfalti e Bitumi chiese alla Regione Siciliana ed allo Stato di impiantare a Castelluzzo una raffineria petrolchimica.

Purtroppo in Sicilia di grandi danni ambientali in luoghi incontaminati ne sono stati commessi tanti, grazie al sostegno di una classe politica che spesso non ha fatto altro che assecondare i potentati economici di turno, e senza avere, forse, nemmeno la consapevolezza di ciò che stava facendo.

Il progetto -
La costruzione dell’impianto di Castelluzzo - secondo l'ISAB - avrebbe dovuto impiegare sino a 2500 lavoratori, per due o tre anni; in seguito, i cicli di produzione avrebbero assicurato lavoro a 300 dipendenti. In una prima fase si sarebbero realizzati, a fronte di circa 50 miliardi di lire dell’epoca, gli impianti portuali, il nucleo di raffinazione con tutti i servizi annessi e l’impianto per la dissalazione delle acque marine con una produzione di circa 50 mila metri cubi di acqua al giorno, dei quali 20 mila da destinare alla raffineria. Nella seconda fase, la produzione di prodotti petrolchimici mediante l’ampliamento del complesso di raffinazione  e la lavorazione delle materie prime in un altro stabilimento petrolchimico nella zona industriale di Trapani.

Il mai nato quadrilatero del petrolchimico - L'iniziativa dell’ISAB, che avrebbe potuto contare sulla disponibilità di fondi agevolati della Cassa per il Mezzogiorno, era destinata a far nascere il quadrilatero dell’industria petrolchimica in Sicilia assieme a Gela, Milazzo e Augusta. Ma per fortuna o forse per un’illuminazione più unica che rara, la politica in quell’occasione disse di no, grazie anche ad una campagna stampa regionale e nazionale che mise in evidenza i pericoli che avrebbe arrecato quell’impianto in una delle zone più integre della Sicilia.

Il precedente dell'ISAB a Marina di Melilli - Proprio le altre tre città siciliane dove sono state realizzate le raffinerie del petrolio rappresentano gli esempi più calzanti di quello che sarebbe successo a Castelluzzo e in tutta l’area. Ma fu un altro progetto realizzato dalla stessa Isab a Marina di Melilli (Siracusa) a contribuire al no definitivo all’impianto in provincia di Trapani. Nella zona di Siracusa la società fondata dagli armatori genovesi Cameli e poi ceduta a Riccardo Garrone aveva installato un polo industriale che in pochi anni stravolse il volto ambientale di quei luoghi, fino a quel momento pienamente preservati dall’inquinamento e votati all’agricoltura. Pochi mesi dopo, un'inchiesta della Procura di Siracusa mise sotto accusa la regolarità di una variante al piano regolatore industriale del sito; furono indagati per corruzione e per l'elargizione di tangenti dirigenti aziendali e politici regionali di diversi schieramenti.

Il "NO" della politica - Nonostante le rassicurazioni dell’industria ligure secondo la quale la vista dello stabilimento sarebbe stata coperta da un rimboschimento e gli impianti sarebbero stati dotati di depuratore, limitando così l'inquinamento dell’intera zona di Castelluzzo,
gli oppositori al progetto provarono che le correnti marine della zona di Capo San Vito, muovendosi da Ovest verso Est, avrebbero potuto trasportare gli elementi inquinanti sino alla provincia di Palermo. Rimase memorabile la seduta all’Assemblea regionale siciliana del 30 novembre 1970. La maggior parte dei gruppi parlamentari presero una posizione contraria, alla realizzazione dell’insediamento industriale. A seguito della vicenda giudiziaria di Marina di Melilli, contro l'installazione della raffineria a Castelluzzo si pronunciarono in sede di governo sia il partito comunista che quello liberale.
Il senatore Ludovico Corrao presentò un'interrogazione ai ministri della Pubblica Istruzione e della Marina Mercantile. Corrao ricordò con il suo intervento che anche il presidente della Tunisia, Habib Burghiba, aveva rinunciato alla progettazione di impiantipetroliferi costieri, considerando l'ambiente ed il turismo più redditizi rispetto a qualsiasi altra attività economica.

 Il no della cultura  - A difesa del territorio di Castelluzzo si esposero poi le voci della cultura. Cesare Brandi, storico dell'arte e dirigente di "Italia Nostra", scrisse sul "Corriere della Sera":"I comuni di San Vito lo Capo e Custonaci che si rallegrano, sono i tapini di questo cavallo di Troia che verrebbe ad essere introdotto in tale zona vergine e splendente; ne uscirebbe invece che il benessere, proprio come dalla pancia del cavallo funesto, la distruzione, e certo si inserirebbe un nuovo elemento di fascino per chi, affacciandosi dal belvedere di Erice, potesse scorgere una nuvola giallo-rossastra come quella che staziona a Marghera e invia i suoi profumi a Venezia..."

Sulle colonne del "Giornale di Sicilia", Giuseppe Quatriglio analizzò invece così la questione: "Impianti petrolchimici e complessi alberghieri e residenziali certo non vanno molto d'accordo insieme nonostante tutti gli accorgimenti che la moderna tecnica consente di mettere in atto per ridurre al minimo l'incidenza degli inquinanti.Sono prospettive davvero poco allegre non soltanto se si vuole puntare sul turismo, ma anche per l'attuale economia della zona. Con tenacia continuiamo ad alterare l'armonia delle coste, a distruggere gli antichi equilibri e le testimonianze del passato, a pretendere insediamenti industriali nelle zone archeologiche, vedi il caso della penisoletta di Magnisi, nella baia di Augusta, sede della preistorica colonia di Thapsos".

Sappiamo bene cosa ha prodotto in Sicilia quel tipo di sviluppo industriale. Danni non solo ambientali e naturalistici ma anche per la salute di tanti cittadini di quei comuni. Purtroppo tutto questo non è bastato e non è servito a nulla visto che qualche anno fa il decreto “sblocca Italia” o “sblocca trivelle”, voluto dal governo Renzi, avallato anche dal governo regionale guidato all’epoca da Rosario Crocetta diede il via libera alla possibilità dello sfruttamento dei giacimenti petroliferi, sia sulla terra ferma che sul canale di Sicilia rischiando di compromettere, per l’ennesima volta il futuro delle nuove generazioni di siciliani, tornando a puntare sulle potenzialità del carbone fossile anziché sullo sviluppo turistico e delle risorse alternative pulite ad impatto ambientale zero. La storia del tentativo di speculazione industriale a Castelluzzo serva da monito contro ogni altro tentativo di aggressione del patrimonio paesaggistico che questa terra e i siciliani hanno avuto in dono.