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13/11/2018 06:41:00

Come sta andando la conferenza sulla Libia a Palermo. Alla fine Haftar è arrivato

Un’ora prima dell’avvio della Conferenza sulla Libia di Palermo una lista ufficiale dei partecipanti non era ancora disponibile. Limature sono state necessarie fino all’ultimo, in particolare per il difficile compito di portare a un tavolo comune i principali rivali libici. Ma alla fine sono 38 le delegazioni arrivate in Sicilia: 30 i Paesi, di cui 10 rappresentati da capi di Stato e di governo e 20 da ministri o viceministri. Palermo diventa così la casa di tutti i libici per due giorni, ma il colpo di scena viene servito prima di cena. L’osso più duro, il generale Khalifa Haftar, dopo mille tira e molla, alla fine è arrivato in Sicilia per la conferenza internazionale promossa dall’Italia. Anche se lo ha fatto alle sue condizioni.


Il generale della Cirenaica, al culmine di una giornata di attesa via via più spasmodica, è arrivato in tarda serata a Villa Igiea. Il premier Giuseppe Conte gli è andato incontro e i due hanno avuto un fitto colloquio, a portata di fotografi. Poi però Haftar è andato via, disertando la cena con gli altri libici. La partita di Palermo, comunque, è cominciata ed il padrone di casa ha lanciato il primo dado: «Siamo qui per aiutare il popolo libico a decidere del suo futuro».
 

Haftar, tassello chiave nel puzzle libico, ha tirato la corda fino all’ultimo. Nelle ultime settimane ha tenuto il pallino, diventando l’oggetto principale delle attenzioni della diplomazia italiana, ma anche dei russi e degli americani. In un estenuante balletto di promesse e ripensamenti. Fino al clamoroso rifiuto della vigilia, con la motivazione che certi invitati a Palermo non gli stavano bene. La sua presenza a Palermo era però troppo importante ed i contatti con Roma sono proseguiti fino all’ultimo sì, strappato al generale al fotofinish, ma con modalità non subito chiare. All’inizio, sembrava che il compromesso potesse essere un mini-summit a margine dei lavori ufficiali tra Haftar, Conte, il presidente egiziano Sisi, il premier russo Medvedev e altri leader africani. Per consentire al generale di fare presenza senza sedere al tavolo con i suoi rivali, come il Qatar e gli elementi della Fratellanza Musulmana rappresentati a Tripoli. Palazzo Chigi, in serata, ha però smentito questo tipo di 'deviazionè dal programma ufficiale.


Finalmente, dopo una cronaca quasi minuto per minuto sui suoi spostamenti, da Bengasi Haftar è arrivato a Villa Igiea. Il saluto con Conte si è tramutato in colloquio, tanto da richiedere l’arrivo di un interprete. La scena è intensa: il premier gesticola, come a voler convincere l’interlocutore a cenare con tutti gli altri, mentre il generale sorride teso. «Il tuo contributo a questo summit è importante», gli dice Conte. Alla fine però, Haftar saluta e se ne va, dopo aver stretto la mano anche al ministro Enzo Moavero. La sua partecipazione a Palermo, comunque, non si conclude qui. E con il suo sbarco in Sicilia, per nulla scontato, Conte ha ottenuto un primo successo. Anche se non è ancora detto se il premier riuscirà nell’impresa di fare incontrare il generale con gli altri tre 'contendentì della disfida libica: il premier Fayez al Serraj, il presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh ed il capo dell’Alto Consiglio di Stato Khaled al Meshri.
Haftar a parte, Conte nel pomeriggio ha fatto gli onori di casa a Palermo ricevendo le delegazioni invitate alla conferenza nel sontuoso albergo di Villa Igiea, affacciato sul mare: 38, 30 Paesi e 8 organismi intergovernativi, tra cui l’Ue, rappresentata da Federica Mogherini e Donald Tusk, passando per Lega Araba, Fmi e Banca Mondiale. Dando il benvenuto a tutti, Conte ha sottolineato che in Libia si è avviato un percorso di stabilizzazione ed il summit di Palermo vuole essere un aiuto "per il popolo libico perché possa decidere in via democratica del proprio futuro». Per fare «cessare gli scontri armati» ed "avviare un percorso di stabilizzazione». Il nuovo piano di pace dell’Onu, aggiornato dopo il perdurare della violenza nel paese ed i suoi picchi in estate, è il canovaccio su cui si deve basare il confronto. Per tutto il giorno l’inviato Ghassam Salamé ha fatto spola tra tutte le fazioni libiche. Negli incontri bilaterali, Salamè ha spiegato come immagina la sua road map per il futuro del paese, basandosi sui tre pilastri delle riforme economiche, di un piano per la sicurezza di Tripoli e soprattutto di un percorso istituzionale che conduca ad un’assemblea nazionale all’inizio dell’anno ed elezioni parlamentari dopo qualche mese. Di sicurezza e riforme economiche si è discusso anche in alcuni tavoli tecnici. Domani i lavori del summit entreranno nel vivo, con la sessione plenaria, poi Conte tirerà le somme. Oggi, di sicuro, il protagonista assoluto è stato ancora una volta il generale Haftar. Perché per tutto il giorno non si è parlato d’altro. 

Scrive Il Manifesto:

Una mezzaluna (simbolo dell’islamismo) raffigurata come uno stilizzato emisfero che, affiancato da una stella e le parole «for/with Libya» (per/con la Libia), rappresenta «un mondo che vuole porsi dalla parte della Libia»: è il logo della «Conferenza per la Libia» promossa dal governo italiano, come evidenzia il tricolore nella parte inferiore della mezzaluna/emisfero.

La Conferenza internazionale si concluderà oggi a Palermo, in quella Sicilia che sette anni fa è stata la principale base di lancio della guerra con cui la Nato sotto comando Usa ha demolito lo Stato libico. Essa veniva iniziata finanziando e armando in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo di Tripoli e infiltrando nel paese forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani camuffati da «ribelli libici».

Veniva quindi lanciato, nel marzo 2011, l’attacco aeronavale Usa/Nato durato 7 mesi. L’aviazione effettuava 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con impiego di oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia, per volontà di un vasto arco politico dalla destra alla sinistra, partecipava alla guerra non solo con la propria aeronautica e marina, ma mettendo a disposizione delle forze Usa/Nato 7 basi aeree: Trapani, Sigonella, Pantelleria, Gioia del Colle, Amendola, Decimomannu e Aviano.

Con la guerra del 2011 la Nato demoliva quello Stato che, sulla sponda sud del Mediterraneo di fronte all’Italia, aveva raggiunto, pur con notevoli disparità interne, «alti livelli di crescita economica e sviluppo umano» (come documentava nel 2010 la stessa Banca Mondiale), superiori a quelli degli altri paesi africani. Lo testimoniava il fatto che avevano trovato lavoro in Libia circa due milioni di immigrati, per lo più africani.

Allo stesso tempo la Libia avrebbe reso possibile, con i suoi fondi sovrani, la nascita in Africa di organismi economici indipendenti e di una moneta africana. Usa e Francia – provano le mail della segretaria di stato Hillary Clinton – si erano accordati per bloccare anzitutto il piano di Gheddafi di creare una moneta africana, in alternativa al dollaro e al franco Cfa imposto dalla Francia a 14 ex colonie africane.

Demolito lo Stato e assassinato Gheddafi, nella situazione caotica che ne è seguita è iniziata, sul piano internazionale e interno, una lotta al coltello per la spartizione di un enorme bottino: le riserve petrolifere, le maggiori dell’Africa, e di gas naturale; l’immensa falda nubiana di acqua fossile, l’oro bianco in prospettiva più prezioso dell’oro nero; lo stesso territorio libico di primaria importanza geostrategica; i fondi sovrani, circa 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, «congelati» nel 2011 nelle maggiori banche europee e statunitensi, in altre parole rapinati.

Ad esempio, dei 16 miliardi di euro di fondi libici, bloccati nella Euroclear Bank in Belgio e Lussemburgo, ne sono spariti oltre 10. «Dal 2013 – documenta la Rtbf (radiotelevisione francofona belga) – centinaia di milioni di euro, provenienti da tali fondi, sono stati inviati in Libia per finanziare la guerra civile che ha provocato una grave crisi migratoria». Molti immigrati africani in Libia sono stati imprigionati e torturati dalle milizie islamiche.

La Libia è divenuta la principale via di transito, in mano a trafficanti e manovratori internazionali, di un caotico flusso migratorio che nel Mediterraneo ha provocato ogni anno più vittime delle bombe Nato del 2011. Non si può tacere, come hanno fatto perfino gli organizzatori del controvertice di Palermo, che all’origine di questa tragedia umana c’è la guerra Usa/Nato che sette anni fa ha demolito in Africa un intero Stato.