"La stessa mano, non mafiosa, che accompagnò Cosa nostra nell'organizzazione della strage di via D'Amelio potrebbe essersi mossa, subito dopo, per determinare il depistaggio e allontanare le indagini dall'accertamento della verità". E' questa una delle conclusioni a cui la Commissione Antimafia regionale siciliana presieduta da Claudio Fava è giunta al termine dell'inchiesta sui depistaggi che hanno riguardato le indagini sulla strage in cui il 19 luglio 1992 furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta. La relazione ha fatto il punto sulle indagini fin da subito corrotte dalle ingerenze da parte dei servizi segreti come ha spiegato lo stesso Fava.
"Da queste indagini viene fuori che oggettivamente il depistaggio è servito anche a celare responsabilità e altre presenze accanto a quella di Cosa Nostra nell'organizzazione, nella gestione e nell'esecuzione di questa strage".
“Menti raffinatissime, affiancarono la manovalanza di Cosa Nostra sia nell’organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio”. In via d’Amelio - secondo la commissione – ci fu una mano esterna alla mafia sia per ammazzare Borsellino sia per deviare l’inchiesta che doveva trovarne gli assassini. Il falso pentito Scarantino serviva per allontanare i sospetti sui soggetti estranei alla mafia. “In tal modo – scrive Fava – venivano appagate le ansie e le aspettative di verità della pubblica opinione per la pronta scoperta di mandanti ed esecutori, tutti mafiosi, ed al tempo stesso si esorcizzava l’incubo di indicibili partecipazioni diverse ed occulte“.
Fiammetta Borsellino - Amaro il commento di Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato, che da 27 anni attende una risposta chiara su chi uccise suo padre. "Tutto ciò dimostra che mio padre è stato lasciato solo da vivo e da morto. Nel depistaggio c'è stata una responsabilità collettiva dei magistrati che hanno avuto comportamenti 'contra legem' e che ad oggi non sono stati mai perseguiti né sul piano disciplinare né su quello giudiziario". "L'indagine sul depistaggio di via D’Amelio è iniziata con Fiammetta Borsellino - ha detto Fava -, portarla avanti è stato il modo migliore per rendere omaggio alla memoria del magistrato ucciso. Per troppo tempo, troppe domande sono rimaste senza destinatari: in alcuni casi abbiamo avuto risposte, in altri casi c'è stata poca memoria».
Il ruolo dei servizi segreti - «Il ruolo dei servizi segreti è stato pervasivo: la mano che sottrasse l’agenda rossa di Borsellino non è una mano mafiosa - le parole di Fava -. Il primo atto della procura di Caltanissetta, un atto contro la legge, è la richiesta al Sisde di dirigere nella fase iniziale le indagini su via D’Amelio. La procura di Caltanissetta all'indomani della strage di Capaci aveva scelto, per 57 giorni, di non ascoltare Paolo Borsellino e poi, due ore dopo la strage di via D’Amelio, ha scelto di affidarsi al Sisde. L’impulso è partito dal procuratore della Repubblica di Caltanissetta, ma si suppone che gli altri magistrati ne fossero a conoscenza». Nella relazione, 80 pagine, della commissione regionale Antimafia si legge che c'è stata «un’anomala, significativa e determinante (negli esiti) collaborazione tra la procura di Caltanissetta e i vertici dell’allora Sisde».
Scarantino e Arnaldo La Barbera - Altro aspetto importante su cui si è soffermata la commissione Antimafia riguarda la gestione della collaborazione di Vincenzo Scarantino e degli altri «sedicenti collaboratori di giustizia». Un intero capitolo della relazione della commissione è dedicato al ruolo di Arnaldo La Barbera, allora capo della squadra mobile di Palermo al quale vennero affidate le indagini su via D’Amelio, così come era accaduto in occasione della strage di Capaci. «Nell'indagine sulla strage di via D’Amelio - si legge nella relazione - ci fu un uso spesso disinvolto e non limpido dello strumento dei colloqui investigativi da parte di La Barbera e degli uomini del gruppo "Falcone-Borsellino". Un uso destinato - come è stato detto in commissione con metafora efficace - a "vestire il pupo"»
Le conclusioni della Commissione antimafia - «Mai una sola investigazione giudiziaria e processuale ha raccolto tante anomalie, irritualità e forzature, sul piano procedurale e sostanziale, come l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta», si legge nelle conclusioni della relazione. «Mai - si legge - alla realizzazione di un depistaggio concorsero tante volontà, tante azioni, tante omissioni come in questo caso. Mai gli indizi seminati, in corso di depistaggio, furono così numerosi e così ignorati al tempo stesso come nell'indagine su via D’Amelio». «Certa - è scritto nella relazione - è anche l’irritualità dei modi ("predatori", ci ha detto efficacemente un pm audito in Commissione) attraverso cui il cosiddetto gruppo "Falcone-Borsellino" condizionò le indagini, omise atti e informazioni, fabbricò e gestì la presunta collaborazione di Vincenzo Scarantino e degli altri cosiddetti pentiti». «E' certo il ruolo - scrivono i deputati dell’Antimafia nella relazione finale approvata all'unanimità - che il Sisde ebbe nell'immediata manomissione del luogo dell’esplosione e nell'altrettanto immediata incursione nelle indagini della Procura di Caltanissetta, procurando le prime note investigative che contribuiranno a orientare le ricerche della verità in una direzione sbagliata. E' certa la consapevolezza che si ebbe in procura a Caltanissetta sull'irritualità di quella collaborazione fra inquirenti e servizi segreti, assolutamente vietata dalla legge».
La polemica e la risposta di Nino Di Matteo a Fiammetta Borsellino - "A vergognarsi devono essere altri, non io...". Così, il pm della Direzione nazionale antimafia Antonino Di Matteo replica alle dure parole pronunciate dalla figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, nei suoi confronti e dei pm che indagarono sulla strage a Caltanissetta, per non essersi presentati davanti alla Commissione regionale antimafia dell'Ars che ha concluso la commissione d'inchiesta sulla strage di via D'Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. "Io non ho ritenuto di accettare l'invito per l'audizione innanzi a una Commissione regionale antimafia che non ha i poteri e le competenze per potersi occupare di un argomento così delicato e complesso - spiega il pm Di Matteo all'Adnkronos - Sulle inchieste per le stragi del '92, sulle quali la Commissione regionale antimafia all'Ars mi voleva sentire, ero già stato audito, su mia richiesta, per due lunghe sedute, dalla Commissione nazionale antimafia, della quale, a quel tempo, faceva parte anche l'onorevole Fava". E poi aggiunge: "Ero stato sentito, in altre occasioni, dalle Corte d'assise di Caltanissetta e dal Consiglio superiore della magistratura. In tutte quelle sedi - dice il magistrato - ho sempre fornito ogni contributo di conoscenza e di esperienza". Poi, il pm Di Matteo, che rappresentava l'accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo, sottolinea: "Gran parte della mia vita è stata, ed è, dedicata alla ricerca della verità sulle stragi. A vergognarsi devono essere altri...".