Ammonta a circa sette milioni di euro il valore dei beni restituiti dalla Corte d’appello di Palermo (presidente Maria Patrizia Spina) a Mario Messina Denaro, cugino del boss latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, e alla moglie, Benvenuta Anna Maria Forte.
Accogliendo la tesi degli avvocati difensori Francesco Moceri e Ferdinando Giannilivigni, secondo i quali i beni “non sono di provenienza illecita”, i giudici palermitani hanno, infatti, disposto la revoca del provvedimento di confisca emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani.
I beni (un’azienda intestata alla donna e un appartamento a Castelvetrano) erano stati sequestrati nel dicembre 2014. Per Mario Messina Denaro, però, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la “misura personale” (sorveglianza speciale) inflitta dal Tribunale trapanese. Per questo, i difensori si riservano di ricorrere in Cassazione. Alla fine del 2014, carabinieri e Guardia di finanza sequestrarono ad affiliati e vicini alla famiglia mafiosa castelvetranese complessi aziendali, attività agricole e commerciali, terreni, fabbricati, automezzi e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro. Il maxi sequestro riguardò diversi soggetti, tutti arrestati nel dicembre 2013 (operazione antimafia “Eden”) in quanto coinvolti, a vario titolo, secondo l’accusa, nel supporto alla latitanza di Matteo Messina Denaro e nel controllo degli interessi economici a lui riconducibili. I provvedimenti di sequestro - disposti dalle Sezioni misure di prevenzione dei Tribunali di Palermo e di Trapani, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano - giunsero al termine di indagini economico-patrimoniali svolte congiuntamente dai finanzieri del Gico di Palermo e dello Scico, e dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani che consentirono di ricostruire le infiltrazioni di Cosa Nostra e dei suoi leader storici negli affari di diverse società ed attività agricole e commerciali dislocate in diverse province della Sicilia e del Sud Italia. In particolare, spiegarono gli investigatori, l'indagine fece luce sulle modalità di controllo delle attività economiche e produttive da parte dell'organizzazione capeggiata da Matteo Messina Denaro, attraverso la gestione occulta di società e imprese attive in diversi settori. Nell’operazione “Eden”, Mario Messina Denaro fu arrestato con l’accusa di tentata estorsione all’imprenditrice Elena Ferraro, titolare della clinica Hermes, che, per nulla intimorita, lo denunciò. Condannato a 4 anni e 2 mesi di carcere, il cugino del boss ha già scontato la pena. Lo scorso 6 dicembre, invece, il Tribunale di Marsala lo ha condannato, insieme alla moglie, per bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso, assolvendoli dalla bancarotta documentale. Tre anni e 8 mesi di carcere per lui, tre anni per lei.