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22/02/2019 08:30:00

Autonomia differenziata Regioni, da Conte una prima frenata

In un intervento in Senato il premier Giuseppe Conte ha piantato molti paletti sulla strada dell’autonomia regionale specificando tra l’altro che nel progetto non si prevedono «riferimenti all’introito fiscale» (insomma non c’è possibilità che il Veneto si tenga il 90% delle tasse come pure s’era detto) e che saranno rispettati non solo i «costi standard» ma anche «i livelli essenziali delle prestazioni» in tutt’Italia. Una frenata plateale, e non solo nei toni, che alcuni osservatori attribuiscono alla moral suasion del Quirinale. 


L’indicazione dei livelli essenziali delle prestazioni è importantissima. Tradotta in italiano vuol dire che l’autonomia regionale non potrà mettere in discussione nel tempo, e non solo per il primo anno come previsto in origine, la qualità dei servizi pubblici in tutta l’Italia e di conseguenza non potrà ledere il ruolo di Roma come Capitale e centro direzionale dell’intero Paese. Conte, insomma, ha indirizzato l’autonomia regionale su un percorso ben diverso da quello ipotizzato fino a poche settimane fa. Tuttavia restano dei nodi da sciogliere, sopratutto su sanità e istruzione che paiono a molti ancora francamente fuori misura, ingiusti e comunque non accettati dalle strutture e dalle persone che garantiscono quei servizi. Da mettere a fuoco anche i metodi di calcolo sulla distribuzione delle risorse, perché le medie nazionali cui pare si inizi a far riferimento possono rilevarsi uno strumento per danneggiare le regioni più povere. 

A conferma del fatto che ci sia stata una frenata, arriva la “sorpresa” da parte del Ministro delle Regioni leghista Stefani: «Da luglio sto lavorando sull’autonomia e sembra che nessuno se ne sia accorto . Sono contenta che nasca una discussione dentro e fuori il Parlamento. I testi non ci sono perché l’intesa non c’è. Non c’è l’accordo, i nodi da sciogliere sono numerosi. I testi che stanno circolando sono spesso errati, ci sono bozze che tali sono. La parte ambientale della sanità non è definita, sui beni culturali non vi è l’accordo, sull’istruzione c’è molto da decidere. I testi ci saranno quando ci sarà un accordo». Traduciamo dal politichese, ci abbiamo provato a fare tutto alla chetichella ma non ci siamo riusciti. Adesso tutti concordano sul fatto che sul dossier autonomia il Parlamento svolga un ruolo decisivo. «Spetta alle Camere decidere come affrontare il tema», hanno sottolineato sia Conte che Stefani. Anche questo è un passaggio cruciale, destinato a cambiare e dilatare nel tempo la riforma. Come noto, fino a qualche giorno fa si era detto che il Parlamento avrebbe dovuto votare a scatola chiusa, con un “sì” o con un “no” sia pure a maggioranza assoluta, i testi di legge figli delle intese fra Regioni e governo. Ieri il quadro è definitivamente cambiato: i presidenti della Camere potranno decidere di lasciare ai parlamentari il potere di emendare i testi oppure quello di definire nelle aule la cornice dentro la quale - in futuro - governo e Regioni potranno trattare. E questa è sicuramente una buona notizia.