Nessuna pausa estiva per il processo abbreviato, davanti al gup di Palermo Filippo Lo Presti, ad otto delle 16 persone coinvolte, tra arrestati e denunciati, nell’operazione antimafia “Pionica” del 12 marzo 2018. Il 22 agosto, infatti, si terrà udienza in un’aula del carcere dell’Ucciardone. Verrà ascoltato Francesco Lo Gerfo, ritenuto affiliato al clan di Misilmeri. A fine aprile, per i personaggi alla sbarra (il più noto è l’imprenditore alcamese Vito Nicastri, il cosiddetto “re dell’eolico”), il pm della Dda Gianluca De Leo ha invocato condanne per circa sessanta anni di carcere.
Le pene più severe, 12 anni, proprio per Nicastri, accusato di concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni, nonché per Girolamo Scandariato, di Calatafimi, e Melchiorre Leone, agronomo, di Vita. E proprio del “re dell’eolico” ha parlato nella precedente udienza il pentito Filippo Bisconti, architetto, ex boss di Belmonte Mezzagno. Bisconti ha dichiarato di aver saputo, in carcere, che Vito Nicastri era uno dei soggetti, anche come imprenditore, “a disposizione” di Cosa Nostra. Ha riferito che questo gli fu detto dai presunti mafiosi Franco Luppino, di Campobello di Mazara, e Giovanni Filardo, di Castelvetrano. Improbabile, però, che i due decidano di parlare e confermare.
Nel frattempo, anche Nicastri, dopo essere rimasto coinvolto nell'inchiesta della Procura di Palermo su un giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega (inchiesta che ha una tranche romana che riguarda l’ex sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione), ha deciso di collaborare con la giustizia. Ma solo per i fatti di corruzione. “Mai avuto rapporti con la mafia” si difende, infatti, Nicastri. Arrestato nel marzo 2018, per i pm Vito Nicastri sarebbe vicino al boss Matteo Messina Denaro, al quale avrebbe finanziato parte della latitanza. Di lui ha parlato Lorenzo Cimarosa, indicandolo come uno dei finanziatori della latitanza del boss e riferendo di una borsa piena di soldi, derivanti dalla mediazione per la vendita di un terreno, che Nicastri avrebbe fatto avere al capomafia attraverso il salemitano Michele Gucciardi. All'imprenditore vennero concessi i domiciliari, ma da casa "il re dell'eolico"; continuava a fare affari violando i divieti di comunicazione imposti dal giudice.
La circostanza è venuta fuori proprio nell'indagine sulle mazzette alla Regione. E ha spinto la Procura a chiedere il ripristino della custodia cautelare in carcere. Nell’abbreviato “Pionica”, è imputato anche il fratello Roberto Nicastri, anche lui accusato di concorso in associazione mafiosa. Per lui, il pm ha invocato 10 anni. Come pure per il salemitano Giuseppe Bellitti. Alla sbarra anche i partannesi Antonino, Tommaso e Virgilio Asaro. Per loro, richieste tra un anno e un anno e 4 mesi. L’operazione “Pionica” prende il nome di una contrada di Santa Ninfa dove c’è un’azienda agricola di 60 ettari appartenuta a Giuseppa Salvo comprata a un’asta giudiziaria e poi rivenduta a prezzo maggiorato.
Parte civili, oltre all’ex proprietaria dei terreni, anche i Comuni di Salemi e Castelvetrano, le associazioni antiracket di Trapani e Alcamo (la prima con l’avv. Giuseppe Novara), l’associazione Caponnetto, il Centro studi Pio La Torre e l’associazione “La Verità Vive onlus” di Marsala (avv. Peppe Gandolfo). I reati a vari titolo contestati sono associazione mafiosa (per alcuni concorso esterno), estorsione, favoreggiamento e intestazione fittizia di beni. A difendere gli imputati sono gli avvocati Giuseppe e Gaspare Benenati, Giuseppe De Luca, Giovanni Rizzuti, Andrea Magaddino, Caterina Bivona, Vito Di Graziano, Sebastiano Dara, Giovanni Di Benedetto, Liborio Maurizio Costanza, Maria Paola Polizzi, Paolo Paladino, Antonino Mormino e Giuseppe Oddo.