Tentato omicidio, tentate lesioni personali e detenzione di armi atte ad offendere sono i reati contestati al 39enne castelvetranese, residente a Campobello di Mazara, Massimo Pellicane, processato con queste pesanti accuse davanti il Tribunale di Marsala.
“Massimo Pellicane mi ha rovinato una famiglia – ha detto in aula la vittima del tentato omicidio, il 50enne campobellese Giacomo Gallo - Mentre io ero al lavoro, vendeva la droga a mia moglie, Angela Maria Leone, che poi è andata a vivere con lui”.
A presiedere il collegio giudicante è Alessandra Camassa, giudici a latere sono Iole Moricca e Francesco Paolo Pizzo. Il 29 agosto 2017, Giacomo Gallo fu aggredito a martellate dal Pellicane, subito dopo arrestato dai carabinieri, anche su poi è tornato in libertà. A difendere l’imputato è l’avvocato Francesco Moceri. Legale di parte civile per Gallo è, invece, Giuseppe Pantaleo. Nel capo d’accusa, si legge che Pellicane, dal tetto della sua abitazione, lanciò un tufo contro l’auto di Gallo, che stava transitando da quelle parti. In auto c’era anche il più piccolo dei quattro figli del Gallo e della moglie che l’aveva lasciato per andare a convivere con Pellicane. Poi, mentre la vittima stava raccontando l’accaduto ai carabinieri, che stavano passando casualmente da quella strada, lo colpì al capo con un martello da carpentiere, dal quale, per fortuna, si staccò la parte in ferro. In aula, Gallo, rispondendo alle domande della presidente Camassa, del pm Antonella Trainito e dei legali, è stato un fiume in piena. “Ho giurato di dire la verità e voglio rispondere a tutte le domande – ha dichiarato – non sono stato colpito in pieno in testa, ma solo lateralmente perché un carabiniere mi ha detto ‘attento Gallo’. Il secondo colpo, invece, l’ho parato con il braccio. Perché Pellicane mi ha aggredito nonostante mia moglie era già andata a vivere con lui da almeno tre mesi? Forse perché era fumato e pensava che stavo andando da loro, ma io stavo andando verso un mio terreno per depositare i miei attrezzi da muratore. Poi, dopo l’arrivo dei carabinieri, che hanno tentato di bloccarlo mentre mi aggrediva, lui è fuggito. Ha fatto il giro dell’isolato, è andato a casa di suo padre ed è tornato con una spada”. Una “katana”, spada giapponese lunga circa 90 centimetri. E i carabinieri hanno dovuto faticare non poco per renderlo inoffensivo.