Il carcere duro per i mafiosi d’ora in poi sarà un po’ meno duro. Perché anche a loro, ha detto ieri la Corte Costituzionale, deve essere garantito il diritto a ottenere i permessi premio per uscire dalla cella.
La sentenza stabilisce che i giudici di sorveglianza dovranno sempre valutare la «pericolosità sociale» del detenuto e non sarà più motivo di rifiuto («ostativo») il fatto che l’ergastolano non abbia collaborato con la magistratura.
La sentenza è arrivata in merito a due questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, in merito a due condannati per mafia all’ergastolo ostativo a cui venivano negati anche i permessi premio. La sentenza riguarda quindi solo la parte dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario sui permessi premio.
All’inizio di ottobre anche la Corte europea per i diritti dell’uomo aveva stabilito che negare dei benefici a prescindere di un detenuto, solo in base al tipo di reati a cui è stato condannato, costituiva una violazione.
A questo punto sono numerosi i condannati che potranno fare ricorso: dal boss Leoluca Bagarella a Giovanni Riina, da Francesco «Sandokan» Schiavone fino a Michele Zagaria.
Tuttavia per ottenere permessi si dovrà dimostrare che il condannato non ha più alcun legame con le cosche. Giovanni Maria Flick, giurista, ex ministro della Giustizia e presidente della Corte costituzionale dal 2008 al 2009: «Alla luce di ciò, ritengo non ci sia il pericolo di frotte di mafiosi che si riversano nelle strade».
La decisione è stata presa con un solo voto di scarto: 8 favorevoli e 7 contrari.