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24/10/2019 06:00:00

Sicilia, teatro. Sillabario per Emma Dante/1: gesto, famiglia, strada ...

 [Per i lettori di Tp24.it abbiamo pensato uno speciale sul teatro di Emma Dante. Sarà diviso in due parti - una esce oggi, l’altra domani - e vuole accompagnare la vigilia e il debutto del nuovo spettacolo dell’artista palermitana, dal titolo “Esodo”.]

di Marco Marino

«Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a modo suo», suonava così un vecchio adagio. Il suono di quelle parole è poi diventata un’eco, più o meno chiara, nelle produzioni di tanti artisti, scrittori, registi. Ma mai un’eco s’era sentita stridere a tal punto, diventare un canto stonato e ammaliante, come quando da semplice rimbombo s’era trasformata nelle scene, nei personaggi, nelle storie della drammaturga palermitana Emma Dante.

Da anni il suo teatro ha permesso agli spettatori di guardare senza reticenze le inadeguatezze e le anomalie congenite nel corpo malato della comunità in cui viviamo, o di ciò che ancora ne resta. Le assi portanti dei suoi spettacoli poggiano su alcuni temi, o meglio su alcune parole ricorrenti. Noi, allora, abbiamo voluto chiedere a Emma Dante, alla vigilia del suo nuovo spettacolo, “Esodo”, di commentare un sillabario che, ripercorrendo i suoi lavori passati (“Odissea A/R”; “Bestie di scena”; “Le sorelle Macaluso”...), provasse a evocare lo spirito della sua opera scenica.

Sono cinque le parole che abbiamo voluto proporle: gesto; famiglia; strada; scuola; comunità. Con una parentesi su “Esodo”, che da domani fino al 3 novembre vedremo in scena al Teatro Biondo di Palermo. 

GESTO

Il mio teatro si basa sulla gestualità. Parte dal gesto. Qualsiasi spettacolo abbia messo in scena, non è stato mai uno spettacolo nato a tavolino. Piuttosto è stato un incontro scenico tra corpi che occupano lo spazio e generano la parola. I miei attori, i loro personaggi, devono fare i conti con una “nascita cavernicola”. Chiedo loro, tutte le volte che ci mettiamo a lavorare su un progetto, di mettersi in gioco dal punto di vista istintivo, intuitivo, primordiale; chiedo loro di diventare una specie di essere primitivo, come se dovessero cominciare a camminare per la prima volta, a gesticolare per la prima volta. E partendo da questa “tabula rasa”, da questo gesto selvaggio, maleducato, viene fuori un abecedario gestuale che alla fine risulta la cifra stilistica dei miei spettacoli. E che parla al mondo, perché la gestualità portata in scena non è locale, finalizzata a un particolare luogo geografico, ma universale. E risponde a un linguaggio più antropologico che sociale.

Per me tutti gli animali hanno una loro gestualità, noi prendiamo molto dagli animali e nel mio lavoro parto sempre dal discorso animale. Con i nostri corpi facciamo gesti che nella vita quotidiana sono movimenti maldestri, disarticolati, maleducati, infantili. L’attore deve avere dentro di sé un bambino, deve essere un po’ animale e deve dimenticare l’intelligenza ed essere idiota. Nel senso che non deve essere furbo, che deve fare tutto anche con grande irragionevolezza: non deve portare in scena delle furbizie, perché la furbizia è una cose di cui lo spettatore a lungo andare si stanca.

Nei miei spettacoli il dialetto ha più a che fare col gesto che con l’elaborazione linguistica. Il dialetto è una lingua gestuale, una lingua descrittiva. Quando si sentono parole che non si riescono a cogliere proviamo ad associarle a un’azione. Il dialetto è una lingua che al suo interno, mentre si pronuncia, contiene delle azioni: ci sono delle parole siciliane che non capisci subito cosa vogliano dire, ma capisci quale tipo di azione ti portano a fare, che movimento ti suggeriscono.

FAMIGLIA

Famiglia è una parola ambigua. È il cuore della nostra aggregazione sociale, ma basta avvicinarla al contesto mafioso per stravolgerne il senso. Possiamo ritrovarvi un grande senso dell’orrore, ma anche una grande bellezza. Nelle terre del Sud, poi, si avverte un senso profondo di necessità legato alla famiglia: per la famiglia si compiono sacrifici; la famiglia è il luogo della protezione, dove nascondere i nostri segreti. È il luogo in cui crescere e formarsi. Per queste ragioni nei miei spettacoli lo spazio della famiglia è importantissimo perché è appunto l’inizio, l’origine, là dove l'individuo rischia di diventare o un assassino o una persona perbene. 

Non mi interessano le famiglie borghesi. Mi annoiano terribilmente, e quindi non mi ispirerebbero alcun tipo di storia. Mi colpisce l’aristocrazia, la nobilità, una realtà vicina all’universo degli dèi, come descrive molto bene Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel “Gattopardo”. Queste due punte, il diamante e lo sterco, mi affascinano molto. Quella cosa piccina che è la borghesia non mi interessa per niente, invece. Indago dove c’è una reale conoscenza della vita, della difficoltà della vita, dove i sentimenti si sono acquattati nella noia e nell’indifferenza, ma sono ancora vigili. Esploro le famiglie disagiate, le famiglie problematiche dove individui dai grandissimi talenti non riescono a trovare riscatto: questo mondo di derelitti è il mondo che mi attrae più di qualsiasi altro, perché è lì che trovo, quando mai la trovo, la verità, il senso della vita.

STRADA

È molto bella la parola strada per me. La strada è il luogo da cui è partito tutto. E il mio teatro comincia da una camminata; ai miei attori propongo sempre questo esercizio che si chiama “schiera”, che è un cammino. Chiedo loro, prima di cominciare qualsiasi percorso insieme, di camminare per ore, avanti e indietro. Questo cammino smuove tutta la circolazione del corpo, attiva i pensieri, quando una persona cammina riflette, guarda le cose: i pensieri migliori - diceva Nietzsche - vengono mentre si cammina, perché il corpo è messo in una situazione di allerta. Camminare significa stare attenti a non inciampare, stare con lo sguardo dritto, osservare le cose. Il cammino infatti è una forma di pericolo; è meglio stare fermi, quando stiamo fermi non ci può succedere niente. Ecco, la strada su cui camminiamo è sicuramente più importante dell’indirizzo che vogliamo raggiungere. Se scegliamo di andare in un luogo perché quel luogo è importante per la nostra crescita, il cammino che facciamo per arrivarci è fondamentale perché ci prepara, ci dà un equipaggiamento per arrivare a varcare quella soglia più forti. È un discorso che ha molto a che fare con la figura di Ulisse: nell’Odissea non è importante arrivare a Itaca, ma è importante come ci si arriva, Ulisse fa di tutto per non arrivarci subito. È importante stare dentro il percorso, non dentro la soluzione del percorso.