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05/11/2019 06:00:00

Sicilia: l'operazione Passepartout, il boss Dimino e l'assistente parlamentare Nicosia

L’operazione Passepartout di Sciacca ha assestato un duro colpo ai capi e ai fiancheggiatori della famiglia mafiosa dell’agrigentino e anche a chi come Antonello Nicosia aveva fatto del suo impegno per i diritti umani un paravento per portarsi dento alle carceri e avere i contatti diretti con i mafiosi. 

I militari della Guardia di Finanza di Palermo e Sciacca e i Carabinieri del R.O.S. e del Comando Provinciale di Agrigento, all’alba di ieri hanno dato esecuzione ad un provvedimento di fermo emesso dalla Procura della Repubblica di Palermo – Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di cinque persone ritenute appartenenti o contigue alla famiglia mafiosa di Sciacca. Le indagini hanno evidenziato come i cinque fermati, seppur in un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense, abbiano continuato a reiterare le forme sistematiche di controllo del territorio tipiche del fenomeno mafioso.

I cinque arrestati: DIMINO Accursio, nato a Sciacca il 14/10/1958; NICOSIA Antonino (detto Antonello), nato a Sciacca il 26/07/1971; CIACCIO Paolo, nato a Sciacca il 07/05/1986; CIACCIO Luigi, nato a Sciacca il 07/05/1986; MANDRACCHIA Massimiliano, nato a Sciacca il 06/01/1973.

Il boss Accursio Dimino - Tra le cinque persone arrestate emerge la figura di Accursio Dimino, detto "Matiseddu", 61 anni, imprenditore ittico ed ex professore di educazione fisica, da sempre legatissimo al superlatitante Messina Denaro. Già condannato per associazione mafiosa - da ultimo nel 2010 - per il suo ruolo espresso in Cosa Nostra, per la quale, nel tempo, è stato "reclutatore di nuovi adepti", assoluto interprete nell’acquisizione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, per assumere, nel primo decennio degli anni 2000, il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Sciacca.

Dimino e i contatti con Riina, Brusca e Matteo Messina Denaro - Dimino, negli anni ’90, per conto della famiglia di Sciacca ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di dinamiche associative ultra-provinciali, mantenendo contatti e veicolando “pizzini” con i corleonesi, in particolare con Salvatore Riina e Giovanni Brusca, ma ci sono state indagini che hanno accertato i contatti con il super latitante Matteo Messina Denaro.  A partire dalla sua scarcerazione, sono stati documentati i rapporti intrattenuti da Dimino con soggetti mafiosi del territorio di Sciacca, di Castellammare del Golfo e con taluni personaggi ritenuti contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York.

Le accuse - Fra i fatti contestati a Dimino nel provvedimento emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Palermo vi sono le pressioni su imprenditori locali per consentire a imprese riconducibili a propri sodali di ottenere appalti, l’attività di recupero crediti a beneficio di soggetti legati a uomini d’onore, propositi di danneggiamenti e altre attività criminali nei confronti di diversi soggetti per finalità estorsive.

L’assistente parlamentare Antonello Nicosia - Tra gli arrestati dell’operazione un collaboratore parlamentare, paladino dei diritti dei detenuti: Antonello Nicosia, 48 anni, originario di Sciacca. Nicosia aveva accompagnato la deputata Pina Occhionero (ex “Liberi e Uguali” di recente passata a “Italia viva”) in alcune ispezioni nelle carceri siciliane: durante quelle visite i boss avrebbero affidato all’assistente della parlamentare dei messaggi da recapitare all’esterno. La deputata non risulta indagata, il collaboratore avrebbe agito a sua insaputa.

 "Difensore dei diritti umani" - Nicosia conduceva un programma in Tv, “Mezz’ora d’aria”, era il direttore dell’Osservatorio internazionale dei diritti umani onlus e componente del Comitato nazionale dei Radicali italiani, di recente era stato a Firenze fra il pubblico della Leopolda, la kermesse renziana. Ma, intanto, intratteneva rapporti con mafiosi di rango. Uno soprattutto, il capomafia di Sciacca, Accursio Dimino,

Le minacce in carcere ad un detenuto - Dalle intercettazioni sarebbe emerso che Nicosia sia andato a trovare in carcere un detenuto del clan di Castelvetrano. Nel corso del faccia faccia carcerario, dietro il paravento del suo ruolo di assistente parlamentare che gli ha garantito riservatezza, Nicosia avrebbe minacciato l'uomo. Doveva tenere la bocca chiusa. Qualcuno temeva forse si pentisse.

Pericolo di fuga - Il fermo è stato eseguito nella notte. Bisognava bloccare gli indagati con urgenza. Nel corso delle indagini sarebbe emerso il loro obiettivo di trasferirsi all'estero. In particolare negli Stati Uniti, dove ad attenderli c'erano i boss della potente famiglia mafiosa dei Gambino.

Le vergognose frasi su Falcone e Borsellino - Le Secondo l'accusa Nicosia avrebbe portato all'esterno messaggi e ordini. Mentre era in auto con un esponente nazionale dei Radicali, nei pressi dello scalo “Falcone e Borsellino", Nicosia diceva: "All'aeroporto bisogna cambiare il nome. Ma perché dobbiamo spiegare chi sono, perché dobbiamo sempre mescolare la stessa merda?". Per Nicosia, poi, Falcone era vittima di un "incidente sul lavoro". E ancora: "Quello là non era manco magistrato. Aveva già un incarico politico".

Il ruolo e il pieno inserimento di Nicosia nell'organizzazione criminale - Gli approfondimenti investigativi effettuati nei confronti di NICOSIA hanno consentito di documentare:  il pieno inserimento di Nicosia nel contesto mafioso saccense, emerso con evidenza anche dalle conversazioni intercorse tra l’indagato e l’uomo d’onore DIMINO Accursio;  la richiesta finalizzata alla consumazione di eventi delittuosi cruenti in danno di proprio debitore rivolta da Nicosia a un soggetto gravitante nel panorama mafioso saccense che prontamente la accoglieva limitandosi a volerne decidere le modalità e i tempi di attuazione; una riservata riunione effettuata a febbraio del 2019 a Porto Empedocle tra NICOSIA e due pregiudicati per partecipazione ad associazione mafiosa di cui uno fidato sodale del latitante Messina Denario Matteo, nel corso del quale i tre affrontavano alcuni argomenti di rilevante interesse investigativo, chiamando in causa direttamente il citato latitante al quale dovevaessere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare; l’uso strumentale del rapporto di collaborazione instaurato da Nicosi  con una Parlamentare della Repubblica Italiana, rapporto questo utilizzato per un periodo dall’indagato per accedere all’interno di diverse carceri del territorio nazionale ed avere contatti anche con altri esponenti reclusi di cosa nostra; l’impegno profuso da Nicosia per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, afferente il settore carcerario, interessava direttamente il latitante Messina Denaro Matteo da cui l’indagato, per l’opera svolta, si aspettava di ricevere un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato. Le attività d’indagine svolte nei confronti di NICOSIA hanno quindi permesso di acquisire elementi in merito alla sostanziale affiliazione di quest’ultimo all’organizzazione mafiosa saccense e alla sua contiguità all’omologa realtà castelvetranese, sodalizi questi in favore dei quali NICOSIA ha fornito un contributo rilevante anche sfruttando la propria posizione pseudo-istituzionale e il connesso qualificato circuito relazionale.