“In solitaria/ malinconia,/ ti guardo e lagrimo,/ Venezia mia!”. Così scriveva nel 1849 il poeta veneto Arnaldo Fusinato. E oggi ancora – anche se per motivi ben diversi da quelli di allora – chi mai, che abbia coscienza e contezza dei valori della nostra civiltà, non è tentato di piangere pensando allo sfacelo di questa città meravigliosa e unica, data in pasto a un turismo fuori controllo – vedi l'orrendo sconcio delle grandi navi nel bacino di San Marco! –, abbandonata a se stessa da una politica che ha ben pochi paragoni al mondo in fatto di cialtroneria, incompetenza e corruzione?
Venezia ferita, simbolo perfetto e supremo del fallimento di uno Stato. Del fallimento dell'Italia. Di un Paese sconvolto in poco più di un anno da una sequela di catastrofi impressionanti: dal crollo del Ponte Morandi all'agonia dell'ex Ilva, e ora al collasso della Laguna Veneta e alla devastazione dei suoi inestimabili tesori. Questa è la terribile realtà dei fatti.
Ma come se ciò non bastasse, si sentono in giro dei discorsi che fanno intravvedere scenari ancor peggiori. Sempre più numerosi sono quelli che invocano “l'uomo forte”, dotato di “pieni poteri”, il governo autoritario che finalmente spazzi via i burocrati, i corrotti e gl'incapaci.
E sempre più sfacciati sono quelli che rincarano la dose, e approfittano del disastro per rilanciare il vecchio ritornello delle nostalgie fasciste: “Quando c'era Lui, le cose in Italia funzionavano, le grandi opere si facevano, i treni andavano in orario, il mondo ci guardava con rispetto, i problemi si risolvevano senza tante storie”. Dovrebbe dunque tornare Lui, per salvare anche Venezia?
Certo, potremmo anche fregarcene di questi proclami da bar, di queste chiacchiere avvilenti, trite e banali. La critica del fascismo è scolpita per sempre a lettere indelebili negli articoli della nostra Costituzione, nei libri di storia e nella memoria delle immense tragedie provocate dalla guerra mondiale scatenata da Hitler e da Mussolini. Eppure c'è qualcosa di assai inquietante in quei vaneggiamenti nostalgici: ed è l'esito politico verso cui essi tendono con sempre maggior evidenza. Parliamoci chiaramente: invocare l'uomo forte, oggi in Italia, che altro può significare se non volere Matteo Salvini capo del Governo?
Ed è proprio qui che cascano le braccia, e la faccenda si fa estremamente seria e preoccupante. Lasciamo anche perdere il carattere e lo spessore di quest'uomo. Non c'interessa qui giudicare la sua persona. Del resto, il mondo è bello perché è avariato, come si suol dire. Pochi anni fa c'erano folle che si sbellicavano dalle risa alle agghiaccianti barzellette di Berlusconi. Oggi altre folle si spellano le mani per applaudire le atroci battute del Capitano leghista (l'ultima, imperdonabile, è quella da lui pronunciata per commentare la sentenza di condanna dei carabinieri che uccisero Stefano Cucchi: “La droga fa male a tutti”. Un capolavoro di cinica ferocia e di assurdità concettuale molto ben calcolato, su cui potrebbero lavorare per giorni interi squadre di esperti di scienza delle comunicazioni). Il vero problema non è l'uomo Salvini, ma il trionfante politico con le sue pericolose idee sovraniste e antieuropeiste. È questo il punto vero.
E allora torniamo a Venezia. Potrebbe mai un governo Salvini-Meloni risollevare questa città dalla sua lenta agonia? La risposta è chiara, ed è no. E la ragione è semplice: Venezia non appartiene né al Veneto né all'Italia, ma all'Europa in primis, e al mondo intero nel senso più elevato. L'enormità del suo patrimonio storico e artistico non è pappa per sovranisti, e non potrà mai essere presa in carico dal nostro solo Paese, fallito e pieno di magagne. La sua fragile bellezza è un bene universale. Dobbiamo arrenderci a questa idea, anche se ciò può sembrare un po' amaro. E sono in molti ormai a riconoscere questa verità. Lo ha lasciato intendere in modo assai chiaro anche il patriarca della Serenissima, monsignor Francesco Moraglia, in un'intervista pubblicata ieri su “Repubblica”: “Più che una legge speciale serve uno statuto particolare, internazionalmente riconosciuto, che riconosca a Venezia il suo profilo unico a livello mondiale”. E questo perché: “C'è una straordinarietà che continua a non essere affrontata con strumenti adeguati”. Sante parole, è il caso di dire. E chi ha orecchie per intenderne il vero significato, lo intenda...
Né Zaia né Salvini, né alcun altro governo regionale o nazionale di qualsiasi colore potrà dunque mai salvare Venezia. Il Veneto e l'Italia hanno già fallito fin troppo, e vergognosamente, in questa titanica impresa. Ed è venuto il momento di guardare oltre, di dire basta a questi attori politici assolutamente indegni e inadeguati. Dobbiamo affidare Venezia nelle mani dell'Europa e delle Nazioni Unite. Per il bene della sua integrità e per quello dei suoi abitanti. Perché, come dice sempre il patriarca Moraglia: “Prima della politica viene la società e prima della società viene la persona. A chi gioca con i piani di salvataggio per Venezia io non oppongo l'onestà, ma le persone. Non stiamo più parlando di danni materiali, di furti, ma della vita della gente”.
Un piano veramente realistico e umano per la salvezza di Venezia non può fondarsi solo sulla speranza che il famigerato Mose riesca a funzionare alla fine del 2021!
Selinos