Bastonate in testa, torture di ogni tipo, corpi incendiati con la benzina e cadaveri gettati nell'immondizia. Alcuni sopravvissuti al sequestro e alle sevizie hanno raccontato tutto alla polizia che, due anni e mezzo fa, ha fatto scattare gli arresti.
Per due dei tre imputati ieri è stata decisa la condanna: i giudici della Corte di assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, hanno inflitto 26 anni di reclusione ai nigeriani Godwin Nnodum, 43 anni, e Goodness Uzor, 26 anni, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, sequestro di persona a scopo di estorsione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina con l'aggravante dell'avere provocato la morte di alcuni migranti. Assolto, invece, il terzo imputato, il connazionale Bright Oghiator, 30 anni. I pm avevano chiesto 30 anni di carcere per quest'ultimo e l'ergastolo per gli altri due imputati. Oghiator, come sottolineato ieri durante l'arringa dall'avvocato Diego Giarratana, che difendeva gli imputati insieme alla collega Gloria Sedita, è stato ritenuto estraneo ai fatti. Per gli altri due imputati sono cadute singole accuse.
L'inchiesta, coordinata dai pubblici ministeri Renza Cescon, Claudio Camilleri e Gaspare Spedale, della Dda di Palermo, ha fatto luce sulle terribili violenze che sarebbero state commesse in Libia, nella cosiddetta «casa bianca», un centro di prigionia dove i migranti venivano trattenuti prima del viaggio verso l'Italia e spesso sottoposti a torture e sevizie. La procura palermitana, fino a questo momento, è l'unica che ha istruito processi per crimini commessi in Libia.