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19/11/2019 06:30:00

Strage di via D'Amelio: la sentenza, il depistaggio, l'agenda rossa e gli altri misteri

La sentenza emessa dalla corte d'assise d'appello di Caltanissetta al "Borsellino Quater" ha confermato le condanne di primo grado e allo stesso tempo l'avvenuto depistaggio sulla strage di via D'Amelio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta.

Le indagini sulla strage secondo i giudici furono pilotate verso un clamoroso errore giudiziario. Insomma, un vero depistaggio sulla strage Borsellino. La sentenza di condanna ha confermato l'ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, a 10 anni per i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, mentre è estinto per prescrizione il reato di calunnia contestato a Vincenzo Scarantino

La ricostruzione giudiziaria della strage - Salvo Madonia sarebbe stato tra i mandanti della morte di Paolo Borsellino. Vittorio Tutino, invece, avrebbe partecipato alla fase esecutiva della strage. I tre falsi pentiti, Scarantino, Andriotta e Pulci sarebbero stati gli attori protagonisti del “depistaggio colossale”, come lo ha definito il magistrato Sergio Lari, che ha indotto i giudici fino alla Cassazione a costringere all’ergastolo, e alla detenzione per tanti anni, sette innocenti per i quali, appena l’attuale sentenza emessa a Caltanissetta sarà definitiva, sarà avviato il processo di revisione, già chiesto dalla Procura generale di Caltanissetta. Nel frattempo, a Caltanissetta è in corso il processo di primo grado sul depistaggio con imputati, di concorso in calunnia, il funzionario di Polizia Mario Bò, e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaldo. E ancora nel frattempo, nell’ambito della stessa inchiesta sul depistaggio, la Procura della Repubblica di Messina, diretta da Maurizio De Lucia, ha iscritto nel registro degli indagati due magistrati del pool che indagò sull’attentato. Si tratta di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, a carico dei quali si ipotizza il reato di calunnia aggravato dall’avere favorito Cosa nostra in concorso con i tre poliziotti del gruppo La Barbera attualmente sotto processo a Caltanissetta. Annamaria Palma oggi è avvocato generale a Palermo, e Carmelo Petralia è procuratore aggiunto a Catania. Questa la situazione emersa ad oggi dal punto di vista giudiziario sulla strage di Via D'Amelio.

L'Agenda Rossa - A 27 anni dalla Strage di via D'Amelio rimane un mistero, destinato, a non avere una soluzione quello dell'agenda rossa di Borsellino. Un'agenda dell’Arma dei Carabinieri, diventata il fulcro di un mistero irrisolto. Paolo Borsellino non si separava mai da quell'agenda. L'aveva avuta in dono all’inizio dell’anno, ma non è mai stata ritrovata.

 Dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino iniziò a scrivere una serie di appunti. Cosa c'era scritto nessun lo saprà mai. Secondo il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore,"quell'agenda è stata sottratta perché doveva servire per gestire i ricatti incrociati con i nomi". E ha sempre sottolineato "una scellerata congiura del silenzio che è durata per 20 anni".

Connessione tra agenda e depistaggio - L'agenda rossa più volte è stata protagonista del dibattimento al processo 'Borsellino quater'. I giudici della Corte d'assise di Caltanissetta, parlano di "connessione" quando si riferiscono ai "collegamenti" tra la scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e il depistaggio di Stato nelle indagini sulla strage di via d’Amelio. Un depistaggio che - come aveva ribadito in Commissione antimafia il pm Nino Di Matteo, oggi consigliere del Csm - era iniziato subito dopo la strage per creare prove false, con una sorta di “fonte” della Polizia capace di fornire notizie, anche vere, da mettere in bocca al “pupo” Vincenzo Scarantino.

Il ruolo di La Barbera - Per i giudici di primo grado, l’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera per i giudici ebbe un “ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa”. Nel 2010 sul conto dell’ex Dirigente della Mobile di Palermo era emerso un dato inquietante e cioè che La Barbera era stato affiliato al Sisde dall’86 all’88 con il nome in codice di “Rutilius”. Alle 18.30 del 19 luglio ‘92 la valigetta di Paolo Borsellino si materializza nell’ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. All'interno però non c’è l’agenda rossa contenente gli appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività svolta da Borsellino nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci.

Una regia occulta ha ordinato il depistaggio - Ma cosa poteva aver scritto in quella agenda Paolo Borsellino? “Poiché l’attività di determinazione così accertata ha consentito di realizzare uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana – evidenziano i giudici nel documento di 1856 pagine – è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento”. Quale regia occulta ha impostato questa strage e per quale motivo? Un fatto è certo: quel giorno, il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino aveva messo la sua agenda rossa in borsa. Come hanno anche testimoniato la moglie Agnese Piraino e il figlio Manfredi. Ma nella 24 ore sono stati trovati il costume da bagno che il giudice aveva utilizzato poche ore prima al mare, un paio di occhiali da sole, altri effetti personali. E basta.

 Borsellino "testimone" - Dopo la strage di Capaci, Paolo Borsellino scriveva spesso i suoi appunti in quell'agenda rossa. Al tenente Carmelo Canale, suo collaboratore disse un giorno: "Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch’io ho le mie cose da scrivere". Borsellino stava raccogliendo le testimonianze del collaborare Gaspare Mutolo, ex autista dell’allora latitante Totò Riina, che svelò i nomi delle “talpe” di Cosa nostra nelle istituzioni come l’ex numero 3 del Sisde, Bruno Contrada, o il magistrato Domenico Signorino. E in quei giorni aveva avuto notizia di un “dialogo” tra pezzi dello Stato e i mafiosi, cioè la “trattativa” di cui si sta occupando il processo in corso a Palermo a carico di alti ufficiali dei carabinieri, mafiosi, politici.

Il colonnello Arcangioli - Protagonista della vicenda che riguarda l'agenda rossa di Borsellino è il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli.  Accusato di avere preso con sé l'agenda rossa sul luogo della strage. Nel 2008 venne prosciolto dal gup per non aver commessoil fatto. Il gup nisseno Paolo Scotto Di Luzio aveva chiuso così uno dei filoni d'indagine legati alla strage di via D'Amelio aperto grazie ad un'immagine televisiva: quella in cui si vedeva Arcangioli, allora comandante della sezione omicidi dei carabinieri di Palermo, allontanarsi da via D'Amelio con in mano la borsa del magistrato. La stessa borsa che pochi minuti dopo verrà ritrovata nell'auto blindata di Borsellino, e consegnata in Questura senza l'agenda che il magistrato portava sempre con sé e di cui hanno parlato i familiari e i principali collaboratori.

Le polemiche su Ayala - Altre polemiche si sono registrate in questi anni su Giuseppe Ayala, ex giudice del pool antimafia e amico di Paolo Borsellino. Come scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado del processo Borsellino quater, "il teste, non senza alcune difficoltà mnemoniche, spiegava che non sapeva nemmeno che Paolo Borsellino teneva un’agenda nella quale annotava le proprie riflessioni più delicate". "Comunque, Ayala escludeva decisamente d’aver guardato dentro alla borsa di Paolo Borsellino, che pure passava fugacemente fra le sue mani, così come escludeva d’averla portarla via sulla autovettura blindata della propria scorta”.

Diverse persone attorno all'auto saltata in aria - Sono sempre i giudici di primo grado a spiegare che "già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del Magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai Servizi Segreti”. Ma proprio chi notava la presenza “oggettivamente anomala, se non altro per i tempi” di quegli esponenti dei Servizi “non riteneva di riferire alcunché ai propri superiori gerarchici od ai Pubblici Ministeri".

Nulla di ufficiale su quella agenda - Nessuna comunicazione veniva data ai familiari di Borsellino in merito a quella agenda. Considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti (come detto) che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992. E soprattutto, chi portava la valigetta di Borsellino nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage”?.

Nessun verbale per la restituzione della borsa - Alcuni mesi dopo la strage Arnaldo La Barbera incontra la signora Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito. Una restituzione fuori dal comune,  in maniera irrituale e frettolosa, scrivono i giudici. In quella occasione, di fronte alle richieste della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (che non risultava presente dentro la borsa fra gli altri suoi effetti personali), il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo “con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire". "Un atteggiamento, questo, che rivelava non solo una impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche una aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino, nel suo forte e costante impegno di ricerca della verità sulla morte del padre”, scrivono i giudici.