La storia dell’alcamese Giuseppe Gulotta, condannato all’ergastolo per essere uno degli esecutori della Strage di Alcamo Marina grazie alla più grande frode processuale della storia italiana, che è servita solo ad allontanare dalla verità e dai veri responsabili, sembra non finire mai.
La tortura di un uomo, i falsi verbali, la costruzione di una frode processuale e la condanna all’ergastolo, e tutto quello che si è subito per 36 anni, tutto questo quanto vale, ha un prezzo? Lo stabilirà il Tribunale di Firenze - oggi è prevista l’udienza - in un processo civile unico nella storia giudiziaria italiana, un "processo allo Stato" che per la prima volta "alla sbarra" vede tre sottoufficiali dei Carabinieri e con loro i vertici politici del governo, da Giuseppe Conte ai ministri della difesa e dell’interno, Lorenzo Guerini e Luciana Lamorgese.
Ci sono voluti 36 anni perché la Corte di Cassazione, dopo un processo di revisione, stabilisse che la verità ufficiale su Alcamo Marina era viziata da una serie impressionante di abusi, torture e prove falsificate da parte dei carabinieri. Per tutto quello che ha subito Giuseppe Gullotta, la Suprema Corte decise che il risarcimento deve essere a carico di chi quei reati li ha commessi, quindi ai diretti responsabili e alla catena gerarchica del tempo.
Nonostante questo, l'Avvocatura dello Stato si oppone al risarcimento, dicendo che quegli abusi non ci sono mai stati. Gulotta, dunque, anche se è stato assolto, per l’Avvocatura non merita un risarcimento.«Gulotta si limita a produrre una serie di carte - scrivono oggi i legali del Governo - che non dimostrano il fatto dannoso». Una situazione surreale quella che si è venuta a creare, con lo scontro tra Cassazione e Avvocatura dello Stato. Gulotta è difeso dai suoi storici legali Pardo Cellini e Baldassare Lauria.
Il processo fiorentino è un unicum e la sentenza costituirà un precedente: per la prima volta un cittadino italiano chiede un risarcimento danni all’Arma dei Carabinieri. Per la prima volta, un uomo, Giuseppe Gulotta, un ex-ergastolano chiede che tortura, falso processuale e depistaggi compiuti da uomini in divisa siano puniti e risarciti. Per la prima volta però un pezzo di storia dell’antimafia siciliana e l’attuale vertice del governo sono imputati. Un processo straordinario quindi, per una richiesta di indennizzo altissima: 69 milioni di euro.
La storia di Gulotta e la strage della casermetta di Alcamo Marina - La notte del 27 gennaio del 1976 vengono trucidati nella piccola caserma dei carabinieri di Alcamo due giovani militari dell’Arma, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Qualche giorno dopo, altri carabinieri confezionano con minacce, botte e torture una falsa verità che porta in un tunnel senza via d’uscita cinque giovani accusati di essere gli esecutori materiali della strage di Alcamo Marina, ancora oggi avvolta nel mistero e i cui veri responsabili sono ancora in libertà.
Per Giuseppe Gulotta tutto ha inizio la sera del 13 Febbraio del ‘76, quando, a qualche settimana di distanza dalla strage in cui furono uccisi i due poveri carabinieri, altri militari dell’Arma lo vanno a prelevare a casa sua. “Dobbiamo chiederti alcune cose” gli dicono.
Lui, appena diciottenne e con poche possibilità economiche, lavorava come muratore, e aveva fatto richiesta per entrare nella Guardia di Finanza. Quando i carabinieri vanno a bussare alla sua porta pensa che volessero avere ulteriori informazioni preliminari dall’aspirante finanziere. E invece non si trattava del concorso. Giuseppe Vesco, un ragazzo arrestato qualche giorno prima accusava Gulotta e gli amici Gaetano Santangelo, Vincenzo Ferrantelli e Giovanni Mandalà di essere gli autori della strage di Alcamo Marina. Quella notte, nella casermetta dove viene interrogato, crede di morire. Gli puntano una pistola addosso, lo costringono a bere acqua e sale, lo massacrano di botte, fin quando, esausto, per liberarsi da quell’orrore firma il verbale.
Inizia il calvario di Gulotta - Dopo qualche ora davanti al giudice ritratta e spiega la sua verità, ma nessuno gli crede e inizia il suo incubo che lo porta nel settembre del 1990 alla condanna definitiva all’ergastolo. Giuseppe Vesco fu trovato morto nella sua cella, nell’ottobre del 1976 nel carcere di San Giuliano di Trapani, dopo aver ritrattato tutto e detto più volte che quelle confessioni erano state estorte dai carabinieri con le torture. La versione ufficiale parla di suicidio per impiccagione, anche se la circostanza rimane misteriosa visto che Vesco aveva una mano amputata.
Il carabinire che riapre il processo e porterà alla libertà di Gulotta - Nel 2008 il rimorso di coscienza dell’ex brigadiere Renato Olino, presente la notte dell’arresto, lo porta a raccontare che le confessioni di Giuseppe Vesco, Gulotta e gli arrestati erano state estorte con la tortura; nel 2008 la Procura di Trapani ha aperto due inchieste. Una sulla morte dei due militari, l’altra su quattro carabinieri accusati di sequestro di persona e lesioni gravissime: sono Giuseppe Scibilia, Elio Di Bona, Giovanni Provenzano e Fiorino Pignatella. Olino ha dichiarato ai giudici del Tribunale di Trapani che quei ragazzi con l'eccidio non c'entravano nulla e che le loro confessioni sono state estorte con violenze terribili.
La revisione del processo e finalmente l'assoluzione - Per Giuseppe Gulotta inizia a farsi concreta la possibilità di poter ritornare in libertà. C’è la revisione del processo e il 13 febbraio 2012, esattamente 36 anni dopo il suo arresto viene assolto per non aver commesso il fatto. In seguito anche Ferrantelli e Santangelo, che diversamente da Gulotta fuggirono in Brasile per non andare in carcere, sono stati assolti dalla corte d’appello di Catania e nel 2014 anche la corte d’appello di Trapani ha assolto Giovanni Mandalà che era morto in carcere per cause naturali.