"Nel 1999 mi venne chiesto di far parte di una task force per la cattura di Bernardo Provenzano. Me ne parlarono Giovanni Peluso e Giuseppe Porto". A dirlo, collegato in videoconferenza, è il pentito di mafia Pietro Riggio, deponendo al processo 'Capaci bis' di Caltanissetta. "Al momento della mia collaborazione quando mi trovai a Santa Maria Capua a Vetere, dopo cinque giorni, venni ascoltato dal Gip". Dopo alcuni mesi "si cominciò ad attivare una attività per la cattura di Provenzano" che all'epoca era ancora latitante. "Questi contati avvengono tra me e Giovanni Peluso" un ex poliziotto "e Giovanni Porto".
Quindi, secondo Riggio all'interno dello stesso carcere, "fu creato un progetto di fare una specie di task force, su proposta di Peluso" per "giungere alla cattura di Provenzano e quindi dare tutte quelle che erano le indicazioni di mia conoscenza affinché ciò avvenisse". Ma di più non vuole aggiungere "perché ci sono indagini in corso". E racconta: "Io fui prelevato dal carcere militare nel luglio 1999 e questo rapporto fu istituzionalizzato". "Fui prelevato da una macchina blindata bianca e accompagnato a Roma presso gli uffici della Dia. Lì conobbi un colonnello dei carabinieri, Angiolo Pellegrini, e un altro soggetto, che ho conosciuto come zio Tony, Antonio Miceli".
"Il contenuto del colloquio è avvenuto su insistenza di realizzare una squadra per catturare Provenzano - dice Riggio - L'altro fungeva da garante fra quello che avevamo discusso con Peluso e faceva da collante all'esterno. Io manifestai la mia disponibilità anche perché ne avevamo parlato ampiamento in carcere". Riggio fu scarcerato nell'aprile del 2000 "e cominciarono i contatti con il colonnello Pellegrini". "Ero libero di muovermi e durante questo periodo mi sono visto sia con Porto che con Peluso. L'oggetto di questo incontri era proprio la preparazione di un piano per arrivare alla cattura di provenzano".
Nel 2000 Cosa nostra “voleva uccidere il giudice Leonardo Guarnotta“. Cioè l’ex componente del pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che all’epoca era presidente della corte che stava giudicando Marcello Dell’Utri per concorso esterno a Cosa nostra. A sostenerlo è il pentito Pietro Riggio, un uomo che ha vissuto una doppia vita: agente della polizia penitenziaria di giorno, e mafioso del clan di Caltanissetta di notte. Reggio è il collaboratore che ha fatto finire sotto inchiesta l’ex poliziotto Giovanni Peluso, accusato di aver avuto un ruolo nella strage di Capaci. E proprio durante all’ultimo processo per l’eccidio del giudice Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, che Reggio ha deposto collegato in videoconferenza la Corte d’assise d’appello di Caltanissetta. Gli imputati al Capaci bis sono Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Vittorio Tutino. Il processo di primo grado si era concluso con quattro ergastoli e un’assoluzione. Vittorio Tutino venne assolto per non avere commesso il fatto. Madonia è considerato uno dei mandanti dell’attentato mentre gli altri avrebbero preso parte alla fase esecutiva. A permettere ai magistrati nisseni di poter riaprire un nuovo filone d’indagine, furono le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, insieme a quelle di Fabio Tranchina, che consentirono di fare emergere il ruolo della famiglia mafiosa di Brancaccio nella preparazione ed esecuzione dell’attentato.
Le dichiarazioni del collaboratore sono tutte da verificare, mentre l’ex poliziotto si è più volte dichiarato innocente. Gli investigatori predicano “prudenza“, anche perché spesso si tratta di racconti de relato, riferiti spesso a confidenze che Reggio avrebbe avuto dallo stesso Peluso. Rispondendo alle domande dell’avvocato Salvatore Petronio, Riggio racconta di un incontro con l’ex poliziotto Giovanni Peluso, indagato per la strage di Capaci, nel 2000. “Peluso – dice Riggio – voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, il dottore Guarnotta. Le ragioni non me le disse, se non l’esigenza di rifugiarsi dopo l’attentato. Aveva anche fatto uno schizzo sull’abitazione del giudice. Io quel giorno stesso riferii dell’attentato al colonnello della Dia”. Una dichiarazione leggermente diversa da quella messa a verbale davanti ai pm. Ai magisgtrati il pentito aveva detto: “Peluso mi disse che la nostra organizzazione aveva bisogno di fare favori alla politica quando ve ne era la necessità. Segnatamente mi disse che era stato incarico a uccidere il giudice Guarnotta e che a tal fine aveva già eseguito un sopralluogo nei pressi di un ‘palazzo’, ritengo fosse quello dove abitava il magistrato”. Parlando in aula, invece, non ha citato la parte sui ‘favori alla politica’. Guarnotta, oggi in pensione, in passato è stato un membro del pool antimafia coordinato dal giudice Antonino Caponnetto. Con Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, Guarnotta ha istruito il Maxiprocesso di Palermo e per ultimo ha ricoperto l’incarico di Presidente del Tribunale. Nel 2000 era presidente della corte che stava processando Dell’Utri per concorso esterno a Cosa nostra. L’ex senatore di Forza Italia sarebbe stato condannato a nove anni in primo grado e poi a sette anni in via definitiva: pena che finirà di scontare tra pochi giorni.