Molti non ricordo e diverse incongruenze con quanto emerso dall'inchiesta hanno caratterizzato il lungo interrogatorio dell'assessore regionale siciliano alle Attività produttive Mimmo Turano, sentito ieri come persona informata sui fatti dall'aggiunto della dda Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo nell'ambito dell'inchiesta su un giro di mazzette alla Regione, pagate per facilitare il rilascio di autorizzazioni per la realizzazione di impianti di energie rinnovabili.
Un affare di oltre 15 milioni con al centro l'imprenditore mafioso Vito Nicastri e il faccendiere Paolo Arata, arrestati insieme ai rispettivi figli e ai due funzionari della Regione che avrebbero preso le tangenti, e accusati, a vario titolo, di corruzione e intestazione fittizia di beni.
Turano ha dovuto riferire su due incontri avuti - uno dei quali in presenza del presidente dell'Ars Miccichè - con i due Arata. Miccichè aveva raccontato ai pm di essere stato messo in guardia da Turano dal proseguire i rapporti con Arata in quanto l'assessore sapeva che Nicastri, già allora sospettato di legami mafiosi, era socio occulto dell'imprenditore. Circostanza indirettamente confermata ai pm dal figlio del faccendiere, Francesco Arata. Ieri Turano ha negato il fatto dicendo intanto di non ricordare che all'incontro fosse presente il figlio del faccendiere, e poi ricollegando la sua diffidenza verso gli affari dell'imprenditore a motivi politici.
In ballo c'era la realizzazione di un impianto di biogas a Calatafimi. «Sono sempre stato contrario a quell'impianto per motivi politici», ha detto ai pm Turano di fatto negando di avere messo in guardia Micciché per la presenza dietro le quinte di Nicastri. Oltre al presidente dell'Ars i pm hanno sentito, la scorsa settimana, l'assessore al Territorio Totò Cordaro che, nonostante le pressioni ricevute anche da Gianni Letta, si sarebbe rifiutato di incontrare Arata. La prossima settimana sarà la volta dell'assessore all'energia Alberto Pierobon.