[A partire da oggi, il racconto in presa diretta dalla "zona rossa" di Parma]
di Domenico Cacopardo
7 marzo 2020
Ieri pomeriggio, verso le 7 è cominciato a trapelare qualcosa: un amico, da Milano, mi invia tramite Whatsapp la bozza del decreto. Lo leggo velocemente e scopro che, con l’art. 1, la «Zona rossa» è ampliata a tutta la Lombardia e a tante altre provincie, compresa Parma, dove abito. Telefono al giornale (la Gazzetta di Parma) e da lì escludono che ci possa essere una decisione del genere.
Chiamo qualche amico medico dell’Ospedale: tutti mi dipingono una situazione estrema, di sovraffollamento, di nuovi reparti destinati ai malati di Coronavirus e di totale assenza di presidi farmacologici. I malati vengono trattati con Tachipirina ed erogazione di ossigeno. I gravi con cocktail di antivirali, i cui effetti non sono rilevabili. Alla cieca, insomma.
La tentazione è di abbandonare la città per ritirarmi, con mia moglie, nel casale isolato che abbiamo nella campagna umbra. Ovviamente, si apre la discussione: i mei figli in una specie di conference call (l’americana Ilaria con suo marito, medico, in collegamento permanente) spingono per una immediata partenza. Poi, re melius perpensa, ci rendiamo conto che andando in campagna compiamo un salto nel buio, per la lontananza di ospedali attrezzati (l’unico, veramente all’altezza, è quello di Perugia) e che, tutto sommato, Parma è dotata di una eccellente organizzazione sanitaria, sotto stress, ma eccellente.
Così non seguiamo l’esempio di migliaia di milanesi che prendono d’assalto la Stazione Centrale per rientrare ai rispettivi paeselli o città: un evento che spicca nel panorama come un monumento negativo per l’irresponsabilità di chi ha diramato la bozza di decreto. Queste migliaia di persone in fuga sono migliaia di potenziali untori, destinati a portare il virus in tutto il resto d’Italia.
Non si può rimanere inerti e in silenzio in una situazione del genere. Telefono a Giovanni, un altro amico, che, furibondo mi racconta che proprio per ieri sera, sabato, alcuni giovani, vista la chiusura delle balere, hanno organizzato un raduno musicale in un capannone abbandonato ai confini con la provincia di Piacenza e che vi sono accorsi centinaia di giovani dal lodigiano e dalle zone a rischio. Anche qui, un’irresponsabilità colpevole della quale qualcuno, un giorno, dovrà occuparsi.
Ma a confermare l’insufficiente sensibilizzazione della gente, la Gazzetta di Parma di oggi pubblica immagini di gente tranquillamente assembrata nel mercato della Ghiaia, senza alcun rispetto delle distanze o delle altre norme di salvaguardia.
Testimonianza, anche questa, del livello di anarchia penetrata nel tessuto sociale del Paese e di cui sarà difficile sbarazzarsi. Un’anarchia che peserà come un macigno nelle prossime settimane, quando la crisi si acuirà e l’arresto dei contagi dipenderà, in modo decisivo, dai comportamenti dei singoli.
La Stampa, intanto, mette - sempre ieri sera - online la notizia che il Coordinamento delle terapie intensive della Lombardia dichiara tra l’altro: «… può rendersi necessario porre limiti di età all’ingresso nella terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata…». Insomma, potrebbe verificarsi il caso (e non è lontano il momento in cui potrebbe, visto quant’è sotto stress il sistema sanitario lombardo) che recandosi al Pronto Soccorso dedicato al Coronavirus, un anziano, un ottantenne, non sia inoltrato alla terapia intensiva di cui avrebbe necessità, ma a una normale corsia di isolamento, nella quale sarà trattato con Tachipirina e ossigeno.
La serietà della situazione, per chi non l’avesse ancora percepita, è testimoniata in modo drammatico da questo documento che rimarrà scolpito nelle cronache dal disastro come la premonizione di una sventura prossima ventura, il cui verificarsi dev’essere scongiurato. Lo sarà?